Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 12 aprile 2013

Brunero Gherardini, Rivoluzione e Concilio. 2. La Teologia della Liberazione

Pubblico la seconda parte del testo su Rivoluzione e Concilio di Mons. Brunero Gherardini. Qui la Prima parte: Concilio e Sessantotto - Seguirà la Terza parte sulla Nouvelle Théologie. .................................................
(*) Brunero Gherardini, Il Vaticano II. Alle radici di un equivoco, Lindau, 2012, ( p.261-269) [vedi anche]. Dopo il primo: Vaticano II. Un discorso da fare con Supplica al Santo Padre rimasta senza esito e il secondo: Il discorso mancato [vedi anche], questo testo riprende e sviluppa i temi più controversi e ci consegna un'analisi chiara e sapiente dei prodromi e degli sviluppi della crisi che stiamo vivendo.

2. La Teologia della liberazione

La rivoluzione, dunque, entrò scompostamente e provocatoriamente nei gangli più ricettivi della società civile ed ecclesiale. La cosa avvenne non certamente in ossequio o per obbedienza a precise consegne del Vaticano 11. Era fatalmente nell'aria quando il Concilio fu convocato e vi fece ingresso per il tramite di periti ufficiali e personali, non pochi dei quali appartenenti alla Nouvelle Théologie che Pìo XII aveva, almeno sul piano dottrinario, opportunamente bloccato. Ne uscì, poi, a Concilio ultimato, arricchendosi di quel gegen-Geist ch'essa stessa vi aveva suscitato, adattando l'intento rivoluzionario all'evento conciliare: accantonando cioè il passato, specie quello legato ad una concezione verticistica di Chiesa, o quello della tradizione scolastico-tomistica, ormai considerata un rimasuglio di rami secchi da tagliare e gettare nel fuoco dell'innovazione.

Da un tale terreno, già durante il Vaticano II, spuntò e presto si sviluppò una mala pianta: la Teologia della Liberazione. B. Mondin ne indicò i protagonisti[13] e Ph. Berryman la chiamò per nome: Movimento rivoluzionario[14]. Tanto rivoluzionario che non mancaron preti col mitra in pugno e vescovi inneggianti alla rivolta dei poveri e dei popoli oppressi. Non mancò addirittura, fra i vescovi, chi si firmava «Vescovo falce e martello»[15], dando risalto in tal modo a quale presupposto filosofico gli esponenti del movimento, o almeno alcuni di essi, lo riferissero. Non pochi videro nella Teologia della liberazione uno sviluppo della ben nota conferenza di Medellin (26 agosto - 6 settembre 1968)[16] ; se non che essa stessa non è che un'efflorescenza dell'intenso lavoro conciliare del CELAM (Consiglio Episcopale Latino-americano), riunitosi in varie occasioni a Roma durante il Vaticano II e promotore d'iniziative di sensibilizzazione, se non proprio d'indottrinamento, sia sui problemi dell'arretratezza e delle ingiustizie sociali, tuttora in atto nell'America Latina con la benedizione di preti d'avanguardia, sia sulla nuova pastorale da adottare per fronteggiare la situazione. I teologi che si distinsero nella teorizzazione e giustificazione morale della Teologia della liberazione non si contano: Guido Gerardo Deltran, Juan Ignacio Ugarte Grijalba, José Dammert Bellido, Miguel Jordà, Pedro Trigo Durà, Eduardo Hoornaert, Jaci C. Maraschin, Miguel Pereira[17]. Ma i nomi di gran lunga più famosi son ben altri: Antonio Batista Fragoso, Leónidas F. Proano, Samuel Ruiz, Pablo E. Bonavía Rodriguez, Gustavo Gutiérrez Merino, Hugo Assman, Clodovis M. Boff, Leonardo Boff, e direi soprattutto Juan Luis Segundo, la cui opera principale - Teologia abierta para el laico adulto[18] - è tipica espressione d'un cristianesimo tarpato ed annaspante: gli manca il respiro soprannaturale.


Per tutti, ovviamente, l'America Latina costituì lo sfondo sul quale ognuno proiettò il proprio sguardo e le proprie proposte. Per tutti, l'auspicio puntualizzò la soluzione di problematiche in stretta dipendenza dalla situazione storica latinoamericana. Ma sarebbe un errore rinchiuder il fenomeno all'interno di codesta situazione. Nei suoi significati più generali, il messaggio rivestiva un valore ed assumeva una destinazione sopranazionali. Sotto il compiaciuto sguardo di K. Marx nasceva non soltanto il cristianesimo dai tetti in giù, ma anche il cristianesimo «barricadiero», revanscista, pronto a contestar e a ribellarsi, e là dove il far la voce grossa non avesse prodotto gli effetti sperati, anche alla lotta armata.

In una lunga Instructio del 6 agosto 1984, la Congregazione per la Dottrina della Fede 19 colse il collegamento della nuova teologia che s'autodefiniva della liberazione con premesse e metodo d'evidente stampo marxiano. Il documento, fatte alcune concessioni e riconoscendo il fondamento vetero e neotestamentario della comune vocazione ad una «vita fra terna giusta e pacifica» ed a «condizioni capaci di promuove un giusto progresso» personale e sociale, dichiara anzitutto che «la liberazione è un argomento cristiano», ben radicate nella Parola di Dio scritta e detta, oltre che nel costante Magistero della Chiesa, e rileva poi il pericolo, insito nel movimento in parola, d'«una nuova interpretazione del cristianesimo» La stessa idea-guida «Prima il pane, poi la Parola» rivela il suo netto distacco da Mt 4,4 (Dt 8,3). Il pericolo, inoltre, è riconosciuto nell'esplicita assunzione della così detta «analisi marxista» per risolver efficacemente i problemi della fame della giustizia e della pace. Efficace, è detto, la soluzione potrà esser solo se supportata dall'analisi scientifica delle cause che impediscon il bene comune. Tale analisi, della quale i promotori della teologia della liberazione appaiono veri maestri termina teoricamente nella ben nota lotta di classe e predispone la prassi come una sua coerente applicazione. La stessa «opzione dei poveri» è inquadrata in codesta contrapposizione classista, che tale resta, immutata nella sua realtà effettuale e nel suo significato ideale, anche se elevata alla dignità teologica. Per quel poco che possa anzi capire, il ricorso al lemma teologia a me sembra una pura e semplice copertura di comodo. Non può mai esser autentica teologia - alla lettera discorso su Dio e quindi sulle cose divine - una lotta armata, uni ribellione radicale, una violenta rivoluzione. Né questa potrà mai[20] rientrare, per chiamarsi a giusto titolo teologia, nell'ottica della Fede; se mai, sarà la teologia, esattamente quella morale, che determinerà natura e limiti dei casi estremi in cui, eccezionalmente, un'azione violenta, una rivoluzione con le armi in pugno, può esser prevista e consentita. Nell'ottica della Fede, il braccio armato non è di per sé ed in quanto tale lo strumento della liberazione, di qualunque tipo e natura; molto significativamente, con riferimento cioè ad un discorso di Fede o ad essa ispirato, la richiamata Instructio della Congregazione per la Dottrina della Fede è aperta dal seguente motto: «Veritas nos liberat», eco evidente di Gv 8,32: «Et veritas liberabit vos». La liberazione è Cristo e Cristo non affida alla rivolta l'affermazione del suo «lieto messaggio»[21]. Né si può equivocare sul concetto polivalente di rivoluzione, essendo chiaro da quanto precede in qual senso questa parola sia stata qui usata. Il suo significato generale e più proprio è quello d'un profondo e quasi sempre violento sconvolgimento politico-sociale e culturale ed è esattamente questo il senso qui inteso. Non quello, pertanto, della rivoluzione astronomica, ossia il ruotare d'un corpo celeste attorno ad un altro. Né quello del corpo che ruota attorno al proprio asse. E nemmeno, infine, quello che alla rivoluzione si limita a dar il generico senso di confusione e disordine. È vero, dal Vaticano Il in poi, con la confusione ed il disordine la santa madre Chiesa ha convissuto; ma confusione e disordine non s'identificano con la rivoluzione, pur essendone l'amaro frutto. La rivoluzione avvenne nel momento in cui si dichiarò inaridita e da buttare sul fuoco la tradizione tridentina; avvenne col colpo di mano che cestinò gli schemi preparati dalle commissioni presiedute dal cardinal Ottaviani e introdusse nell'appena iniziato Concilio quel gegen-Geist che, opponendolo alla detta tradizione, lo coordinò alla mentalità corrente, perché corrispondesse «qui ed ora» alle esigenze di questa. La rivoluzione fu il ribaltamento dell'ottica teocentrica con quella antropocentrica. E quando la scuola di Bologna, traendone le logiche conseguenze, parlò d'evento per chiuder con esso tutto un glorioso passato ed inaugurare la nuova Chiesa del Vaticano II, qualcuno capì quale grave pericolo ciò costituisse per la Chiesa stessa e corse ai ripari: non rivoluzione, ma evoluzione; non l'inizio ma la continuità; non una Chiesa nuova, ma la Chiesa di sempre che, per rimanere l'unico soggetto Chiesa donatoci da Cristo, e quindi se stessa, si riforma.

Tentativo lodevole, ma tardivo: è infatti inutile chiuder la stalla quando i buoi l'han già abbandonata. La rivoluzione, a quel punto, era in atto ed è continuata. L'antropocentrismo aveva già ispirato gran parte delle innovazioni basate sul Concilio: la dignità della persona umana ed i suoi inalienabili diritti son il punto di riferimento di decisioni iniziative e comportamenti ispirati ai documenti conciliari; tale, per esempio, è il riferimento non solo della vasta azione diplomatica e politica della Santa Sede - almeno a giudicare dall'esterno e per quel tanto ch'è possibile capire - ma anche del legiferare all'interno della Chiesa, delle sue innovazioni dottrinali e pratiche, delle sue prese di posizione nei campi più vari: nell'applicazione del diritto canonico all'attività ecumenica, nel dialogo con le religioni non cristiane, negl'interventi in ordine alla libertà religiosa, nello spirito d'Assisi ed in quello quotidianamente diffuso, con finalizzata insistenza, da «L'Osservatore Romano».

Con l'antropocentrismo, a sostegno della rivoluzione in atto e per darle una forza sempre più dirompente, fa tutt'uno il modernismo sia pur tirato a lucido nelle forme più aggiornate del neomodernismo. Non solo nella denominazione, ma anche e soprattutto nel suo contenuto e nella sua stessa pretesa di farsi teologia della modernità, pur il modernismo è rivoluzione. Lo è quando contesta la tradizione dogmatico-teologica così detta dell'identità, favorendo l'ottica della differenza, aperta dallo stesso modernismo. L'una sarebbe quella d'estrazione ecclesiale, sclerotizzata dal dogma, fissa, non elastica e quindi oggi inefficiente e non più proponibile; l'altra, quella collegata sempre di nuovo con l'effervescenza della situazione culturale, il cui pluralismo reclama dialogo e confronto in un clima non di presunta universalità, ma di coerente differenza[22]. Se non che, l'accentuazione di codesta differenza riporta in primo piano, assumendola, la frattura modernista fra storia e dogma e «rivoluziona» i criteri che presiedono alla formulazione della dottrina della Fede: non più l'autocoscienza ecclesiale, la continuità evolutiva ed omogenea della Tradizione, l'analogia della Fede[23], ma una conoscenza storico-critica sulla base di documenti storicamente inoppugnabili, sia che riguardino la cultura in genere o la Fede in particolare[24].

E non meno rivoluzionaria, agli effetti d'una comunicazione salutare del dogma, è la così detta teologia politica di j. B. Metz, oltre a quella, già presa in considerazione, della teologia della liberazione. Non è facile sintetizzare l'esatto contenuto della teologia politica, sia perché in sé molto complicato, sia perché lo stesso Metz che lo propose ritornò sui suoi passi nell'arco d'una decina d'anni, col risultato finale d'una polivalenza concettuale che va dal primato dell'escatologia sulla storia alla «memoria Christi» come «memoria passionis et resurrectionis», e con la precisazione che una «memoria resurrectionis» a sé stante e non strettamente imparentata con la «memoria passionis», sarebbe pura mitologia. In pratica, tuttavia, partendo dal primato della prassi, comune a tutta la sinistra hegeliana, la teologia politica fu essa pure tributaria dell'analisi marxiana fin al limite d'una vera e propria teologia della rivoluzione ". Colpa del Vaticano II? In modo diretto, assolutamente no. Indirettamente, grazie a quel senso in parte libertario ed in parte liberatorio del suo gegen-Geist, dal quale prese il via la contestazione dell'insegnamento e dell'assetto tradizionali, traducendosi in un guazzabuglio di correnti non solo diverse, ma anche contraddittorie e subito gratificate dalla loro collocazione nel contenitore del pluralismo teologico, anche il Vaticano Il ebbe la sua responsabilità. Per questo se ne chiede, ormai da più parti, un'analisi critica. Si ha la speranza che si possa finalmente uscire dalla babele delle teologie per ritrovare la strada, forse difficile ed erta, della teologia. Sì, al singolare, univocamente e senz'alcuna specificazione, la teologia.
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13. B. Mondin, I teologi della liberazione, Ed. Borla, Roma 1977.
14. Th. Berryman, Liberation Theology, The Essential Facts about the Rewhitionary Movement in Latin America and Beyond, Pantheon Books, New York 1987.
15. Mi riferisco al vescovo di Sào Félix, nel Mato Grosso (Brasile), Pedro Casaldàliga, di cui si può leggere, oltre ad un Diario incendiario, Credo nella giustizia e niella speranza, «Quaderni ASAL», n. 27, Roma 1976; Il Vangelo è sovversivo: i fatti di Riobamba, «Quaderni ASAL», n. 28, Roma 1976.
16. CELAM, Medellin. Testi integrali delle conclusioni della Seconda Conferenza Generale dell'Episcopato latinoamericano, «Quaderni ASAL», n. 11-12, Roma 1968.
17. Cfr. Équipe Seladoc, Religiosità popolare, 2: Analisi interpretative - Esperienze pastorali, «Quaderni ASAL», n. 33, Roma 1977.
18. L'edizione originale, Calos Lohlé, Buenos Aires 1968, fu tradotta in italiano dalla Benedettine di Viboldone e pubblicata dalla Morcelliana, Brescia 1974 in 5 volumetti, in essi è «rivoluzionato» un po' tutto: Rivelazione, Chiesa, Gerarchia, Laicato.
19. Congreg. pro dottrina fidei, Instructio de quìbusdam ratiouibus «Theologìx liberationis», in AAS 76 (1984), pp. 876-909; ora anche in Congreg. pro dottrina fidei, Documenta inde a Concilio Vaticano II expleto edita (1966-2005), LEV, Città del Vaticano 2006, pp. 235-258. Si veda pure l'ordinata ed obiettiva esposizione di A. Anton, El misterio de la Iglesia, BAC, Madrid 1987, vol. II, pp. 982-1001.
20. La possibilità della «necessitas extrema» (physica, absoluta) non neutralizza il «mai», ne conferma anzi la validità ordinaria, prevedendo l'eccezione straordinaria. Più che una causa, la «necessitas extrema» configura una condizione, non a caso detta «sine qua non», perché senza di essa non s'ottiene l'effetto. Pertanto, il carattere di «necessità» non riguarda «primo et per se» l'effetto, ma la condizione necessaria per ottenerlo. In teologia, si è soliti distinguere la necessità in: a) estrema, in coincidenza di totale mancanza del necessario alla vita o dell'imminente pericolo di perderla, o di perdere beni preziosi fisici o morali, necessari alla sopravvivenza; b) quasi estrema, quando codesto pericolo non è imminente, ma molto vicino; c) grave, se il pericolo non è né imminente, né prossimo, ma vero e reale; d) comune, qual è la necessità ordinaria della povera gente in genere, cfr. per esempio il vecchio ma caro A. Tanquerey, Synopsis Theologix moralis et pastoralis, Desclée, Roma-Tournai-Paris 1906, vol. I, pp. 463-464. 
21.Non inganni il difficile ed oscuro testo di Mt 11,12 (Lc 16,16): « Regnum caelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud», il cui significato riguarda o l'irruzione violenta del Regno di Dio nel mondo (10,34-35) e l'ingresso in quel Regno di quanti son capaci della rinuncia che Cristo richiede ai suoi discepoli; o gl'immancabili e sempre rinnovati attacchi contro il Regno di Dio da parte dei violenti. Sia pure oscuro, il testo non allude a nessun tipo di rivoluzione in nome di Cristo e del suo evangelo.
22. Si veda al riguardo, fra gli altri e non pochi, J. Doré, Les courants de la théologie francaise depuis le Vatican II. Document Episcopal, «Bulletin de la Conférence des Evéques de France», 3-4 febbraio 1992, pp. 1-16.
23. Cfr. J. V. Bainvel, L'histoire d'un dogme, in « Études» 101 (1904), pp. 612-632; J. Linden, Die leibliche Aufnahme Maria in den Himmel, in «Zeitschrift f. kathol. Theologie», 30 (1906), pp. 201-226.
24. La posizione relativa alla frattura fra storia e dogma è chiaramente esposta da F. von Hizgel, Du Christ éternel et de nos christologies successives, in« La Quinzaine» 58 (1904), pp. 285-312. La medesima posizione si coglie in G. Herzog (pseudonimo del ben noto Turmel), La conception virginale du Christ, in «Revue d'Histoire et de Littérature Religieuse», 1907, pp. 117-134.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

E' ancora valida la Mystici Corporis di Pio XII?

"...In realtà, tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e professando la vera Fede, né da se stessi disgraziatamente si separarono dalla compagine di questo Corpo, né per gravissime colpe commesse ne furono separati dalla legittima autorità. "Poiché — dice l’Apostolo — in un solo spirito tutti noi siamo stati battezzati per essere un solo corpo, o giudei o gentili, o servi, o liberi" (I Cor. XII, 13). Come dunque nel vero ceto dei fedeli si ha un sol Corpo, un solo Spirito, un solo Signore e un solo Battesimo, così non si può avere che una sola Fede (cfr. Eph. IV, 5), sicché chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa, deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come etnico e pubblicano (cfr. Matth. XVIII, 17). Perciò quelli che son tra loro divisi per ragioni di fede o di governo, non possono vivere nell’unità di tale Corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito...."

Anonimo ha detto...

sicché chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa, deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come etnico e pubblicano (cfr. Matth. XVIII, 17). Perciò quelli che son tra loro divisi per ragioni di fede o di governo, non possono vivere nell’unità di tale Corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito...."

Chi sono, oggi, coloro che rifiutano di ascoltare la Chiesa?

Anonimo ha detto...

"...il Senato di Francia ha approvato l'art. 1 del progetto di legge che autorizza i matrimoni fra persone dello stesso sesso. La strada e' ormai spianata e si va verso l'approvazione definitiva della legge che darebbe il via libera anche alle adozioni.

In Uruguay è stata approvata (ieri) la legge pro matrimoni gay, in tempi record come in Argentina, in Italia i i grillini hanno già depositato i loro disegni di legge per coppie di fatto etero e omo e conseguenti adozioni e figli del 'progresso' per tutti e legge severissima contro l'omofobia ..."

http://ilblogdiraffaella.blogspot.it/2013/04/lo-strano-caso-del-rabbino-bernheim.html

Anonimo ha detto...

Ma dal santo padre nessun accenno...?
Perché evitare il temi caldi e di conflitto?
Tanto prima o poi la pax mediatica finirà, e se non finisce c'è da preoccuparsene

Anonimo ha detto...

Ma dal santo padre nessun accenno...?

Forse in questa circostanza, più che il Papa dovrebbe parlare la Conferenza Episcopale Francese. So che molti vescovi hanno affiancato i numerosi dimostranti, cittadini che difendono i loro principi. Ma non sono tutti in perfetta sintonia, purtroppo.

In ogni caso, prima o poi, il Papa dovrà pur affrontare queste tematiche...

Anonimo ha detto...

UN PAPA CHE SCHIVA I TEMI DI CONFLITTO (S. Magister)

In effetti, nei discorsi e nelle omelie di inizio pontificato, Bergoglio ha evitato finora di toccare le questioni che più vedono contrapposta la Chiesa ai poteri mondani.

Nel discorso al corpo diplomatico ha taciuto le minacce alla libertà religiosa, così come nei suoi altri interventi ha evitato qualsiasi cenno ai nodi critici del nascere, del morire, della famiglia.

Ma nella sua intervista autobiografica Bergoglio ricorda che anche Benedetto XVI in un'occasione scelse di tacere:

"Quando Benedetto XVI nel 2006 si recò in Spagna tutti pensarono che avrebbe criticato il governo di Rodriguez Zapatero per le sue divergenze con la Chiesa cattolica su varie tematiche. Qualcuno gli chiese addirittura se con le autorità spagnole avesse affrontato il tema del matrimonio omosessuale. Ma il papa rispose di no, che aveva parlato solo di cose positive e che il resto sarebbe venuto in seguito. Voleva suggerire che prima di tutto bisogna sottolineare le cose positive, quelle che ci uniscono, e non quelle negative, che servono solo a dividere. La priorità va data all'incontro tra le persone, al camminare insieme. Così facendo, dopo sarà più facile abbordare le differenze".

In un altro passaggio dell'intervista Bergoglio critica quelle omelie "che dovrebbero essere 'kerigmatiche' ma finiscono col parlare di tutto ciò che abbia un legame con il sesso. Questo si può, questo non si può. Questo è sbagliato, questo non lo è. E allora finiamo per dimenticare il tesoro di Gesù vivo, il tesoro dello Spirito Santo presente nei nostri cuori, il tesoro di un progetto di vita cristiana che ha molte implicazioni che vanno ben oltre le mere questioni sessuali. Trascuriamo una catechesi ricchissima, con i misteri della fede, il credo, e finiamo per concentrarci sul partecipare o no a una manifestazione contro un progetto di legge in favore dell'uso del preservativo".

E ancora:

"Sono sinceramente convinto che, al momento attuale, la scelta fondamentale che la Chiesa deve operare non sia di diminuire o togliere dei precetti, di rendere più facile questo o quello, ma di scendere in strada a cercare la gente, di conoscere le persone per nome. E non unicamente perché andare ad annunciare il Vangelo è la sua missione, ma perché se non lo fa si danneggia da sola. È ovvio che se uno esce in strada gli può anche succedere di avere un incidente, ma preferisco mille volte una Chiesa incidentata a una Chiesa malata".

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350492?eng=yThese

Anonimo ha detto...

La priorità va data all'incontro tra le persone, al camminare insieme. Così facendo, dopo sarà più facile abbordare le differenze".

Non è del tutto esatto. Benedetto XVI non ha mancato di fare affermazioni precise, proprio in Spagna:

Dal discorso all'arrivo a Madrid per la GMG 18 agosto 2011 alla presenza delle autorità:
"...Certamente non mancano difficoltà. Sussistono tensioni e scontri aperti in tanti luoghi del mondo, anche con spargimento di sangue. La giustizia e l’altissimo valore della persona umana si sottomettono facilmente a interessi egoisti, materiali e ideologici. Non sempre si rispetta, come si deve, l’ambiente e la natura, che Dio ha creato con tanto amore. Molti giovani, inoltre, guardano con preoccupazione al futuro di fronte alla difficoltà di trovare un lavoro degno, o perché l’hanno perduto o perché precario e insicuro. Altri hanno bisogno di essere messi in guardia per non cadere nella rete della droga, o di avere un’assistenza efficace, se, purtroppo, vi fossero caduti. Non pochi, a causa della loro fede in Cristo, soffrono in se stessi la discriminazione, che arriva al disprezzo e alla persecuzione aperta od occulta che patiscono in determinate regioni e paesi. Li si perseguita volendo allontanarli da Lui, privandoli dei segni della sua presenza nella vita pubblica, e mettendo a tacere perfino il suo santo Nome..."

Ai giovani a P.za Cibeles:
"... Sì, ci sono molti che, credendosi degli dei, pensano di non aver bisogno di radici, né di fondamenti che non siano essi stessi. Desidererebbero decidere solo da sé ciò che è verità o no, ciò che è bene o male, giusto e ingiusto; decidere chi è degno di vivere o può essere sacrificato sull’altare di altre prospettive; fare in ogni istante un passo a caso, senza una rotta prefissata, facendosi guidare dall’impulso del momento. Queste tentazioni sono sempre in agguato. È importante non soccombere ad esse, perché, in realtà, conducono a qualcosa di evanescente, come un’esistenza senza orizzonti, una libertà senza Dio. Noi, in cambio, sappiamo bene che siamo stati creati liberi, a immagine di Dio, precisamente perché siamo protagonisti della ricerca della verità e del bene, responsabili delle nostre azioni, e non meri esecutori ciechi, collaboratori creativi nel compito di coltivare e abbellire l’opera della creazione. Dio desidera un interlocutore responsabile, qualcuno che possa dialogare con Lui e amarlo. Per mezzo di Cristo lo possiamo conseguire veramente e, radicati in Lui, diamo ali alla nostra libertà. Non è forse questo il grande motivo della nostra gioia? Non è forse questo un terreno solido per edificare la civiltà dell’amore e della vita, capace di umanizzare ogni uomo?..."

Dal discorso all'arrivo a Santiago di Compostela 6 novembre 2010 ( alla presenza di Felipe e consorte):
"...Questi apporti e iniziative della vostra lunga storia, e anche di oggi, insieme al significato di questi due luoghi della vostra bella geografia che visiterò in questa occasione, mi spronano ad allargare il mio pensiero a tutti i popoli di Spagna e d’Europa. Come il Servo di Dio Giovanni Paolo II, che da Compostela esortò il Vecchio Continente a dare nuovo vigore alle sue radici cristiane, anch’io vorrei esortare la Spagna e l’Europa a edificare il loro presente e a progettare il loro futuro a partire dalla verità autentica dell’uomo, dalla libertà che rispetta questa verità e mai la ferisce, e dalla giustizia per tutti, iniziando dai più poveri e derelitti. Una Spagna e un’Europa non solo preoccupate delle necessità materiali degli uomini, ma anche di quelle morali e sociali, di quelle spirituali e religiose, perché tutte queste sono esigenze autentiche dell’unico uomo e solo così si opera in modo efficace, integro e fecondo per il suo bene...."

Anonimo ha detto...

--- segue

Ai professori universitari all'Escorial
"... Tuttavia, dove troveranno i giovani tali punti di riferimento in una società sgretolata e instabile? Talvolta si ritiene che la missione di un professore universitario sia oggi esclusivamente quella di formare dei professionisti competenti ed efficaci che possano soddisfare la domanda del mercato in ogni momento preciso. Si afferma pure che l’unica cosa che si deve privilegiare nella congiuntura presente sia la pura capacità tecnica. Certamente, oggi si estende questa visione utilitaristica dell’educazione, anche di quella universitaria, diffusa specialmente a partire da ambiti extrauniversitari. Tuttavia, voi che avete vissuto come me l’università, e che la vivete ora come docenti, sentite senza dubbio il desiderio di qualcosa di più elevato che corrisponda a tutte le dimensioni che costituiscono l’uomo. Sappiamo che quando la sola utilità e il pragmatismo immediato si ergono a criterio principale, le perdite possono essere drammatiche: dagli abusi di una scienza senza limiti, ben oltre se stessa, fino al totalitarismo politico che si ravviva facilmente quando si elimina qualsiasi riferimento superiore al semplice calcolo di potere. Al contrario, l’idea genuina di università è precisamente quello che ci preserva da tale visione riduzionista e distorta dell’umano.

In realtà, l’università è stata ed è tuttora chiamata ad essere sempre la casa dove si cerca la verità propria della persona umana. Per tale ragione non a caso fu la Chiesa ad aver promosso l’istituzione universitaria, proprio perché la fede cristiana ci parla di Cristo come del Logos mediante il quale tutto è stato fatto (cfr Gv 1,3), e dell’essere umano creato ad immagine e somiglianza di Dio...."

Questo da una ricerca sommaria...

Anonimo ha detto...

Bel discorso. Ritorna la Tradizione vivente.
“L’interpretazione delle Sacre Scritture non può essere solo uno sforzo scientifico individuale ma deve essere sempre confrontata e autenticata dalla Tradizione vivente della Chiesa”. Questa “norma decisiva per il corretto rapporto tra esegesi e Magistero”, è stata al centro del discorso che Papa Francesco ha rivolto ai membri della Pontificia Commissione Biblica in chiusura della Plenaria che si è svolta sul tema: ”Ispirazione e verità della Bibbia”.

In visita alla Segreteria di Stato, papa Francesco ha ricevuto il saluto del card. Bertone:
"...siamo entusiasti dello slancio che ha impresso al ministero petrino"

Mah!

Anonimo ha detto...

"E non unicamente perché andare ad annunciare il Vangelo è la sua missione, ma perché se non lo fa si danneggia da sola"

Quindi bisogna fare determinate cose per sopravvivere?
Mah!