Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 1 dicembre 2012

Sulle recenti critiche di Benedetto XVI al Concilio Vaticano II

Nel numero speciale di 96 pagine de L’Osservatore Romano dell’11 ottobre 2012 dedicato al cinquantenario del Vaticano II, è riprodotta in apertura sotto il titolo “Benedetto XVI racconta” (pp. 5-9) la prefazione del Santo Padre (datata 2.8.2012) ad un volume di suoi scritti concernenti il Concilio, or ora pubblicato a cura dello Institut Papst Benedikt XVI.  Questo testo riserva due critiche e una sospensione di giudizio a tre documenti conciliari.
  1. La critica di Benedetto XVI alla ‘Gaudium et spes’. Cominciamo dalla prima critica, rivolta alla Gaudium et spes, la celebre Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (De Ecclesia in mundo huius temporis). Descrivendo le attese per il Concilio da parte dei vari episcopati, il Papa ricorda: “Tra i francesi si mise sempre più in primo piano il tema del rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno, ovvero il lavoro sul cosiddetto “Schema XIII”, dal quale poi è nata la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Qui veniva toccato il punto della vera aspettativa del concilio. La Chiesa, che ancora in epoca barocca aveva, in senso lato, plasmato il mondo, a partire dal XIX secolo era entrata in modo sempre più evidente in un rapporto negativo con l’età moderna, solo allora pienamente iniziata. Le cose dovevano rimanere così? La Chiesa non poteva compiere un passo positivo nei tempi nuovi? Dietro l’espressione vaga “mondo di oggi” [huius temporis] vi è la questione del rapporto con l’età moderna. Per chiarirla sarebbe stato necessario definire meglio ciò che era essenziale e costitutivo dell’età moderna. Questo non è riuscito nello “Schema XIII”. Sebbene la Costituzione pastorale esprima molte cose importanti per la comprensione del “mondo” e dia rilevanti contributi sulla questione dell’etica cristiana, su questo punto non è riuscita a offrire un chiarimento sostanziale” (op. cit., p. 6. Le parole tra parentesi quadre sono sempre di Paolo Pasqualucci).

    Dunque: nel giudizio del Papa (come dottore privato) la Gaudium et spes (GS) non è riuscita a definire bene il proprio oggetto ossia a darci un concetto valido di “mondo contemporaneo”. Lo “Schema XIII” dal quale è nata, elaborato soprattutto dall’episcopato francese, era evidentemente carente e le sue manchevolezze si sono mantenute nella Costituzione. Se ben mi ricordo, non fu l’allora cardinale Ratzinger a sottolineare, diversi anni fa, che la GS rappresentava una sorta di “Controsillabo”, dal momento che essa aveva voluto chiudere l’epoca dello scontro frontale con il “mondo” (per l’appunto esemplificata da ultimo nel Sillabo di Pio IX, 1865) per aprire quella della comprensione e del dialogo?  Ma se ora, nelle parole stesse di Papa Ratzinger la GS viene giudicata manchevole proprio perché “non è riuscita a offrire un chiarimento sostanziale” per ciò che riguarda il concetto stesso di “mondo”, della modernità, il supposto suo valore di “controsillabo” a cosa si riduce?  Non viene ad azzerarsi del tutto?

    È vero che il Romano Pontefice attribuisce alla GS il merito di aver espresso “molte cose importanti per la comprensione del “mondo”” e di aver dato “rilevanti contributi sulla questione dell’etica cristiana”.  Tuttavia, non dice quali siano state queste “cose importanti” e quali “i rilevanti contributi”.  In ogni caso tali lodi, rivolte ad aspetti importanti ma parziali del testo conciliare, nulla tolgono alla sua critica, che a me non sembra di poco momento.  Il rilievo è assai pesante, se si guarda alla sostanza, al di là della forma pacata e distaccata tipica dello stile di Benedetto XVI.  Questa critica ci dice, in parole povere:  “La GS non ha saputo chiarire il proprio oggetto, non ha saputo darci un concetto soddisfacente di mondo moderno”.  Come a dire:  è mancata al suo scopo.  Facendosi forti di questa critica, tutti coloro che vogliono oggi aprire un dibattito serio ed obiettivo sul Concilio, possono (io credo) ricavare la seguente direttiva:  siamo autorizzati a ricercare i motivi per i quali la GS è fallita nel suo obiettivo principale; la GS che doveva rispondere alla “vera aspettativa del Concilio” e chiarire in primo luogo ai fedeli che cosa dovessero intendere con “mondo contemporaneo”.  Siamo pertanto autorizzati a porci domande di questo tipo:  perché la GS è mancata al suo scopo?  Quali le sue carenze?   Dopo questo giudizio critico (e diciamo pure coraggioso) del Papa in persona, il dibattito su una delle Costituzioni portanti del Vaticano II deve a mio modesto avviso ritenersi di fatto consentito da parte dell’Autorità legittima, con buona pace di coloro che si ostinano a ritenere il pastorale Vaticano II un Concilio superdogmatico, da accettare senza discussione in ogni suo minimo risvolto.   

  2. La sospensione di giudizio sulla Dichiarazione concernente la libertà religiosa. Dopo la bordata contro la GS, Benedetto XVI fornisce un’interpretazione che molto probabilmente spiazzerà ancor più tanti zelanti ed acritici assertori del Vaticano II.  Scrive, infatti, che “inaspettatamente, l’incontro con i grandi temi dell’età moderna non avvenne nella grande Costituzione pastorale, bensì in due documenti minori, la cui importanza è emersa solo poco a poco con la ricezione del concilio” (op. cit, p. 6).  (La GS, nonostante i suoi 93 articoli aveva dunque mancato “i grandi temi dell’età moderna”!) I due documenti sono:  la Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa (DH) e la Dichiarazione Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane (NAet).  I “grandi temi” della modernità sono qui appunto la libertà di culto come espressione della libertà di coscienza individuale e il dialogo interreligioso in prospettiva ecumenica, nell’ottica della c.d. “globalizzazione” del mondo ed “unificazione” del genere umano.

    A proposito della prima, il Papa così ne giustifica la necessità.   “La dottrina della Tolleranza, così come era stata elaborata nei dettagli  da Pio XII, non appariva più sufficiente dinanzi all’evolversi del pensiero filosofico e del modo di concepirsi dello Stato moderno” (ivi).  Pio XII, lo ricordo, riconosceva come diritto dell’uomo quello di praticare la propria religione di appartenenza, fatta però salva la giusta preminenza sociale da riconoscersi alla religione cattolica, in quanto unica autenticamente rivelata da Dio.  Non riconosceva un diritto innato (o “umano”) della coscienza individuale a praticare qualsivoglia credo di sua scelta (o a non praticarne nessuno).  È l’orientamento individualistico, soggettivistico del pensiero moderno, succube in generale del principio d’immanenza e votato ad ogni forma di antropocentrismo, a propugnare, come sappiamo, questo tipo di “diritto”.  Ora, DH ha evitato il pericolo di innovare rispetto all’insegnamento di Pio XII (che, ricordo, era del tutto in linea con quello costante della Chiesa), senza cadere nell’anticristiano “soggettivismo” del pensiero moderno in tema di libertà di religione?  Del soggettivismo del pensiero moderno, padre di tutti i relativismi, Benedetto XVI è sempre stato ben consapevole.  “Si può affermare che il cristianesimo, con la sua nascita, ha portato nel mondo il principio della libertà di religione [di contro alle pretese dello Stato romano ancora pagano, che richiedeva da tutti il sacrificio all’imperatore in cambio della libertà di esercitare il proprio culto, purché non fosse immorale, come ad esempio quello dionisiaco].  Tuttavia, l’interpretazione di questo diritto alla libertà nel contesto del pensiero moderno era ancora difficile, poiché poteva sembrare che la versione moderna della libertà di religione presupponesse l’inaccessibilità della verità per l’uomo [della verità in sé, oggettiva, poiché il pensiero moderno non crede in una verità che si ponga indipendentemente dal soggetto] e che, pertanto, spostasse la religione dal suo fondamento [oggettivo, nella Rivelazione]  nella sfera del soggettivo”(op. cit., p. 7). 

    Ma il Papa, a ben vedere, non afferma che la DH abbia effettivamente raggiunto il suo scopo, senza concessioni pericolose al soggettivismo del pensiero moderno.  Passa di colpo a tessere l’elogio di Giovanni Paolo II, attribuendogli  il merito di aver reso “nuovamente visibile l’intimo ordinamento della fede al tema della libertà”.  Mettendo a frutto la sua lunga esperienza di sacerdote costretto a confrontarsi con l’oppressione marxista, egli è stato infatti in grado di “render nuovamente visibile l’intimo ordinamento della fede al tema della libertà, soprattutto la libertà di religione e di culto” (ivi).  L’elogio dell’opera di Giovanni Paolo II, con il quale si conclude il ragionamento sull’importanza della DH per la comprensione ed il dialogo della Chiesa con la modernità, non sembra secondo me fornire una risposta al problema che il documento conciliare doveva risolvere:  quello di elaborare una concezione di “libertà religiosa” nuova rispetto al passato ma che non scivolasse in alcun modo nel soggettivismo dei Moderni.  Su questo punto capitale mi sembra che il Pontefice non prenda posizione, lasciando così il suo giudizio in sospeso.  Infatti, affermare che Giovanni Paolo II ha reso nuovamente visibile “l’intimo ordinamento della fede alla libertà” mi sembra significhi limitarsi a riconoscere che il tema della libertà della fede è stato tema centrale dell’insegnamento di quel Pontefice, senza chiarire se e fino a che punto il nesso di fede e libertà sia stato da lui mantenuto immune dal soggettivismo di cui sopra e senza chiarire se tale nesso sia stato mantenuto immune anche dalla DH.  E se il giudizio del Papa resta qui in sospeso, non siamo allora autorizzati a chiderci per qual motivo?  E a rivisitare criticamente la DH?

  3. La Dichiarazione “Nostra aetate” ha trascurato le “forme malate e disturbate di religione”.  E vengo all’ultima notazione critica del Sommo Pontefice.  Dopo aver sottolineato l’importanza della Dichiarazione Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, ed affermato che si tratta di “un documento preciso e straordinariamente denso”, il Papa afferma tuttavia che “nel processo di ricezione attiva [del documento stesso] è via via emersa anche una debolezza di questo testo di per sé straordinario:  esso parla della religione solo in modo positivo e ignora le forme malate e disturbate di religione, che dal punto di vista storico e teologico hanno un’ampia portata” (op. cit, pp. 7-8).  Come dobbiamo intendere questi rilievi?  A mio avviso, in questo senso:  nell’applicazione dei princìpi propugnati dalla Dichiarazione, ci si è accorti che essa dava un quadro troppo roseo delle religioni non cristiane, vedendole “solo in modo positivo”.  L’esperienza degli ultimi decenni ha indubbiamente fatto emergere quelle che il Papa chiama giustamente “forme malate e disturbate di religione”, caratterizzate soprattutto (come è stato già osservato) dai cosiddetti “fondamentalismi”: mussulmano, indù, buddista, tutti particolarmente aggressivi, come sappiamo, in particolare il primo. Anche nella Nostra Aetate si mostra dunque una lacuna, che la fa apparire inadeguata a sostenere la sfida che “le forme malate e disturbate di religione” stanno lanciando da anni al cattolicesimo. Anche qui siamo dunque autorizzati, io credo, a porre una serie di questioni: perché la NAet ha voluto dare un quadro “solo positivo” delle religioni non cristiane? Quali sono, allora, gli elementi non positivi e quindi negativi presenti in esse, inaccettabili per noi cattolici? Le “forme malate e disturbate di religione” sono poi solo quelle riconducibili ai fondamentalismi sopra menzionati? Che dire, per esempio, dei cosiddetti movimenti carismatici che, nella migliore delle ipotesi, rimandano ai convulsionari giansenisti del XVIII secolo?
Il dibattito sul Concilio è solo all’inizio e il Papa stesso ne ha voluto offrire ampi e validissimi spunti. Cosa della quale, credo di poter dire, gli siamo tutti molto riconoscenti.
Paolo Pasqualucci
___________________________
[Fonte: conciliovaticanosecondo.it, 18 novembre 2012]

20 commenti:

Anonimo ha detto...

Sulla Gaudium et Spes:

Questa critica ci dice, in parole povere: “La GS non ha saputo chiarire il proprio oggetto, non ha saputo darci un concetto soddisfacente di mondo moderno”.

E dunque, se una Costituzione conciliare non ha saputo chiarire il proprio oggetto e non ha saputo dare un concetto soddisfacente di mondo moderno, significa che non ha saputo inquadrare conoscere e valutare compiutamente la 'modernità'. Ma come si può risolvere un rapporto così complesso e dalle conseguenze così importanti, se si riconosce di non aver avuto - né quindi ancora si ha - la percezione precisa della realtà con la quale si voleva a tutti i costi entrare in relazione? E tuttavia lo si è fatto, ma al prezzo di rischiare di perdere la propria identità...

E ora? Ovvio che il non aver chiarito il proprio oggetto abbia come conseguenza che, oltre a non aver conseguito gli obbiettivi che ci si prefiggeva, sono state intraprese azioni fallaci le cui ripercussioni negative, del resto, sono sotto gli occhi di tutti.

E, allora, non sarebbe anche logico e anzi doveroso individuare bene le riconosciute lacune e pensare ai possibili correttivi?

Ci si può limitare ad una analisi senza giungere a chiarir meglio la tesi e giungere così ad una giusta sintesi? O meglio, non c'erano già delle risposte (il Sillabo), che non si sono volute prendere in considerazione avventurandosi per sentieri impraticabili? E si continua così? E perché?

E perché ancora non si può mettere NULLA in discussione di tutto questo? Che senso ha?

viandante ha detto...

“La GS non ha saputo chiarire il proprio oggetto, non ha saputo darci un concetto soddisfacente di mondo moderno”.

Questa frase é fortissima. Non so se ci accorgiamo ma é una condanna micidiale a tutto ciò che é stato fatto dopo il concilio. Se i frutti non si vedono é proprio qui che va cercata la causa.

Da tempo in molti sosteniamo che una pastorale basata su presupposti sbagliati é destinata a fallire.
Qui indirettamente, e non so se cosciente di tutte le conseguenze che ne derivano, lo dice il papa.

Molto sinteticamente: come ci si può aprire al mondo, se non si sa che cos'è il mondo o meglio se non si sa che cosa é la modernità?

Mi sembra ovvio che così stando le cose non viene ancora permesso di mettere in discussione nulla, perché altrimenti vorrebbe dire mettere in discussione tutto, con conseguenze imprevedibili per la gerarchia ecclesistica attuale.
E per tutti noi.
Ma ora é il papa che inizia a mettere in discussione alcune cose (ed é già una grande grazia questa!) e tutto inizia a vacillare.

Silente ha detto...

Che sia "Dignitatis Humanae" sia "Nostra Aetate" siano, in molti punti letterali ma soprattutto nel loro spirito, in palese, evidente contraddizione con la dottrina dogmatica precedente è un dato di fatto. Qualsiasi indicazione contraria, in nome di una di indimostrata e indimostrabile "ermeneutica della riforma nella continuità", si scontra con il principio di non contraddizione e con la stringente e ineludibile logica giuridica che ha sempre governato l'organico e sempre coerente sviluppo dottrinario della Chiesa. Di qui l'inevitabile ricorso, da parte dei sostenitori della "continuità", a uno "storicismo mascherato". Si tratta di storicismo perchè, eliminando le finzioni dialettiche, nella difesa delle dichiarazioni conciliari si afferma, nella sostanza, che ogni verità è in relazione al suo tempo e che quindi ciò che era vero ieri non è necessariamente vero oggi. E' "mascherato" perchè lo storicismo è una impossibilità ontologica per la Chiesa, pena la rinuncia alla Verità quale ragion d'essere non solo storico-mondana, ma soprattutto metafisica della Chiesa stessa. Si spiegano quindi i contorcimenti, i contorsionismi dialettici e dottrinari, le ambiguità, le sfide alla logica prima ancora che alla Tradizione, dei difensori ad oltranza del concilio, che sono obbligati a giustificare contraddizioni che giustificabili - e ancor di più risolvibili - non sono.
Curioso e molto preoccupante al contempo è il tentativo di risolvere, da parte dei modernisti che hanno occupato la Chiesa, queste contraddizioni attraverso una surrettizia e giuridicamente impossibile dogmatizzazione del concilio, ricorrendo peraltro a un principio di autorità e di verità da loro sempre ideologicamente negato. E' tuttavia la logica della Rivoluzione (che è - e non solo metaforicamente - infernale)che, in nome della "tolleranza" e della "libertà", impone le più orribili dittature.

Marco Marchesini ha detto...

Ho ordinato l'ultimo libro di Padre Lanzetta. Ancora non mi è arrivato.

Chiedo ai lettori di Padre Lanzetta:

1) Il Padre ritiene che nel Concilio Vaticano Secondo siano presenti errori in Fede e Morale, vere e proprie eresie, espressioni in sé stesse blasfeme? Oppure ritiene che i problemi sono sono a livello di interpretazione dei testi?

2) Padre Lanzetta ritiene che i tesi del Concilio Vaticano Secondo siano in contraddizione con il Magistero precedente a livello sotanziale o a livello accidentale? Oppure che la contraddizione sia solo apparente?

Intendo con "contraddizione" la violazione del principio di non contraddizione.

Lo storicismo è condannato dalla Chiesa insieme al relativismo. Questo non vuol dire che non si devono interpretare testi tentedo conto del contesto storico.

Anonimo ha detto...

Caro Marco,
non ho ancora letto questo testo, ma P. Lanzetta ha scritto molto sul concilio.
Se dai uno sguardo ai titoli sulla destra, trovi molti sui scritti sia tra quelli generali che tra i documento del Convegno di Roma del 2010.

Sulla tua ultima affermazione sono perfettamente d'accordo. Credo che l'uso del metodo storico critico (che poi è complesso ed interdisciplinare), insieme agli altri strumenti, di per sé aiuta molto l'esegesi. E' la sua assolutizzazione che è sviante. Inoltre storicismo e relativismo, proprio in quanto -ismi, sono degenerazioni...

bernardino ha detto...

"Sulle recenti critiche di Benedetto XVI al Concilio Vat.II"
Ma non e' che per caso piu' andiamo avanti, piu' ci accorgiamo che Mons. Lefebvre aveva ragione e aveva visto molto lontano, e cosi' Romano Amerio ed il Card. Giuseppe Siri (il papa non eletto) e quanti altri, fino ad arrivare a noi che con la nostra testardaggine stiamo tirando fuori parola per parola quello che gli anticattolici avevano voluto per distruggere la Dottrina Cattolica Apostolica. Speriamo che non sia solo una meteora quello che il Papa ci ha cominciato a dire. Che il Papa abbia il coraggio che ebbe Pietro. Quello che ha incominciato, lo continui e lo porti a termine, se vuole davvero bene alla Sua Chiesa ed a Cristo Signore. Mons. Lefebvre ha sofferto molto per la verita', ha subito la scomunica, e tutto cio' che ne e' conseguito. Pietro ha dato il Suo sangue per quella verita'. Il Papa segua quegli esempi, se qualcuno voglia fermarlo e zittirlo, ma faccia in modo anche rischiando, di dire quello che sta succedendo tra le gerarchie, vista la situazione di coma profondo in cui si trova la Sua Chiesa. Faccia anche Lui quello che fece un altro Papa che di sera si vestiva da frate e girava per Roma a rendersi conto della situazione. Lui puo' vedere con poche persone fidate come sono ridotte le Sue Chiese , seminari conventi, monasteri ed altro e com'e' ridotta la Fede della Chiesa di Cristo. Faccia piazza pulita all'interno delle gerarchie ormai anticattoliche moderniste e liberiste. Un popolo cattolico e veramente seguace di Cristo lo attornia, non e' solo. Butti fuori tutti i gerarchi piccoli e grandi massoni/protestanti e la Chiesa piano piano ritorna ad avere un volto pulito perche' come sostegno ha Cristo.

Anonimo ha detto...

Il "non soddisfacente concetto di uomo moderno" della Gaudium et Spes mi richiama alla mente una profonda analisi del Prof. Bernard Dumont, pubblicata qui, col titolo Il conflitto irrisolto.

Ben lungi dalle aspettative dell'apertura del concilio Vaticano II, cinquant'anni fa, lo scarto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo è oggi acuto. [...]

Nella sua lunga e articolata analisi Bernard Dumont prende in considerazione anche quell'"ottimismo a priori" che dava per scontata la positività delle aspirazioni dell'uomo contemporaneo e la sottovalutazione dovuta a insufficiente approfondimento della realtà con cui si entrava in relazione, facendo l'esempio emblematico del subire anziché gestire la puntigliosa censura dei poteri che gestiscono lo strumento mediatico, accompagnata da minacce ad ogni minimo scarto, reale o immaginario, dalla linea ufficiale... Poiché in seno alla Chiesa non manca un indiscutibile spirito di qualità e competenza, sembra che almeno in parte quel poco d'interesse nutrito per queste realtà risulti come l'ottimismo di cinquant'anni fa da un atto di volontà.

Riporto l'interessante conclusione:

Occorre aggiungere il fatto che il lungo periodo postconciliare, se ha conosciuto sfumature, ha dogmatizzato il corpus costituito tra 1962 e 1965 – mentre il suo carattere pastorale implicherebbe logicamente di fare periodicamente il punto sulla sua fondatezza, tenendo conto dei cambiamenti di circostanze. È vero che in certi casi questa dimensione essenzialmente pratica è stata oltrepassata per presentarsi come progresso dottrinale, che apre la porta a interminabili interrogativi sulla portata di alcuni testi, la loro continuità o la loro rottura con l'insegnamento acquisito. Parallelamente lo sguardo unilateralmente positivo sul mondo ha lasciato il posto ad un'autocelebrazione periodica, mentre la censura esteriore si mostra sempre più opprimente. Ciò facendo, per uno strano paradosso, cinquant'anni dopo, torniamo alla situazione di conflitto senza fine alla quale il concilio voleva sfuggire. È dunque difficile, in queste condizioni, immaginare la possibilità di risparmiarsi un riesame.

Anonimo ha detto...

Quell'ottimismo a priori era frutto, secondo me, di scarsa fede e di ideologia.
Il credente sa che siamo feriti dal peccato originale, quindi l'ottimismo si può avere SOLO guardando all'IMMACOLATA nella quale inizia una nuova umanità redenta, e non sulle potenzialità umane e culturali!

Anonimo ha detto...

a dirla tutta....
quell'ottimismo a-priori è di stampo illuminista e massonico, quando, sulla scia di J.J. Rousseau, esso si mostra persuaso (e vuole persuadere i figli dei nuovi tempi) che l'uomo sia "naturalmente buono" e si corregga e risani da solo di tanti mali ancestrali, e anche del peccato originale, che è fonte di tutti i peccati abituali. Così, se uno segue tal convinzione, a lungo andare, si convince di non aver bisogno di un Salvatore, ma di essere buono con le "risorse umane".

E si arriva, passo passo, lungo 50 anni e oltre, alla planetaria fratellanza massonica e mondialista, dove Gesù Salvatore sarà dimenticato come "personaggio ridondante" circa la fraternità universale, perchè sarà il regno del dialogo che "supera tutte le barriere di cultura e religione, cercando ciò che unisce".
E Gesù è sempre elemento di divisione, pietra d'inciampo, che sarà scartato per costruuire civiiltà universale dell'amore, che non guarda a differenze di "credenze".

Jacobus ha detto...

"Questa frase é fortissima. Non so se ci accorgiamo ma é una condanna micidiale a tutto ciò che é stato fatto dopo il concilio. Se i frutti non si vedono é proprio qui che va cercata la causa."


Non solo non si vedono frutti, ma danni e rovine! Purtroppo negati dalla grancassa mediatica che fa del concilio un mito, un evento-svolta...

Anonimo ha detto...

Non solo non si vedono frutti, ma danni e rovine! Purtroppo negati dalla grancassa mediatica che fa del concilio un mito, un evento-svolta...

Negati dalla grancassa mediatica, ma soprattutto da quella curiale!

Michele ha detto...

La Lectio Magistralis del Card. Mauro Piacenza Prefetto della Congregazione per il Clero, a par vostro, non è un contributo per questa discussione?

Parrebbe che in effetti Benedetto XVI, ora che è Papa, ritenga questo tema incompleto nei documenti conciliari, perché anche essi presuppongono la Fede. L'apertura al mondo, senza Fede, è come consegnare le chiavi di casa ad un ladro, se poi dentro casa non hai il cagnaccio.

Ecco che quindi si riparte dalla Fede, e dalla Nuova Evangelizzazione di cui parla il Cardinale, che riporti la centralità sul tema del rapporto fra l'uomo e Dio, e la necessità dello stesso.

La GS è forse incompleta non tanto perché non ha saputo descrivere il mondo e la modernità, semmai perché non ha riaffermato con forza che la Verità non può essere mediata, filtrata, affievolita, anestetizzata, affinché sia meglio digerita, creduta, metabolizzata o compresa.

Cristo è Cristo. E' morto per tutti, ma coloro che lo rifiutano finiscono fra i "non molti" che non si salveranno.

Secondo me l'apertura alla modernità è molto importante, se questo serve a portare Cristo a coloro che della modernità sono schiavi, altrimenti la Chiesa perde la sua missione.

E' un po' come la differenza che ci dovrebbe essere fra le associazioni della Misericordia e della Pubblica Assistenza (una cristiana, l'altra laica): se l'associazione cristiana fa la stessa cosa di quella laica, magari con motivazioni diverse ma comunque con lo stesso risultato, ma poi non porta un messaggio di speranza prettamente cristiano sulla risurrezione, non passa forse il messaggio che la scelta fra l'una e l'altra è solo una questione ideologica?

Se la Chiesa non evangelizza, nel mondo, ricordando che SOLO CRISTO SALVA, beh, allora vuol dire che anche la Chiesa stessa ha già dato le proprie chiavi ai ladri. E su questo Papa Benedetto XVI pare proprio voler intervenire con questo Anno delle Fede.

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Marco Marchesini ha detto...

Però il Card. Siri firmò i documenti del Concilio Vaticano Secondo. Perché? Perché si fidava dell'approvazione del Papa, perché li riteneva interpretabili senza entrare in contraddizione con quanto affermato precedentemente?

viandante ha detto...

Le stesse domande che si pone Marco Marchesini me le son poste spesso anch'io.
Ma non solo riguardo a Siri: oso sperare che vi fosse almeno tutta una frangia di cardinali ortodossi al Concilio, eppure quasi nessuna resistenza, praticamente tutti firmarono.
Credo che una parola molto malintesa, specialmente in campo tradizionalista é OBBEDIENZA.
Per modernisti e progressisti invece é un concetto superato o comunque irrilevante se non per mettere a tacere gli avversari una volta al "potere".
Comunque l'obbedienza al papa é qualcosa che per molti cattolici é indiscutibile ed assoluto. Invece tutti dovrebbero sapere che l'obbedienza al papa ha come scopo quello di difendere, custodire ed eventualmente accrescere la fede dei fedeli.
Se però risulta evidente che un papa agisce in modo tale da metterla in pericolo, la mia obbedienza in tali ambiti non può essere assoluta.
Non é un discernimento sempre facile ed alla portata di tutti, però anche all'interno della Chiesa troppo spesso si é travisato su questo concetto.
E anche oggi tanti fedeli tergiversano ancora riguardo alle conseguenze del Concilio perché non "possono" contraddire il papa, cui devono obbedienza.
In tali frangenti mi limito a far notare che il papa stesso é in contraddizione con altri papi, pure come lui infallibili, che l'hanno preceduto.
Comunque non é una situazione facile, perché la normalità delle cose sarebbe quella di poter fidarsi del papa, invece da alcuni decenni dobbiamo vigilare su tutto e su tutti!
Attendiamo con ansia l'avvento di Cristo!

Anonimo ha detto...

Il card Siri firmò perchè si fidava della protezione di Cristo sulla Chiesa.

Anonimo ha detto...

Perché si fidava dell'approvazione del Papa, perché li riteneva interpretabili senza entrare in contraddizione con quanto affermato precedentemente?

Credo che molte delle ambiguita' piu' sottili siano sfuggite a chi non facese parte della fronda che ne era responsabile. Del resto molte cose del concilio 'possono' essere lette in continuitá. Lo stesso mons. Lefebvre mi pare che avesse firmato tutti i documenti conciliari tranne gaudium ed spes e dignitatis humanae, se non ricordo male. La 'pastorale' applicativa e' stata poi quella che è stata e, ad esempio, della Sacrosanctum concilium, oltre ad essere disapplicate molte prescrizioni, sono diventate la regola quelle che in partenza erano indicate come eccezioni...

Anonimo ha detto...

C'è un'altro passaggio della Lectio Magistralis del card. Piacenza che denuncia l'inadeguatezza dei documenti conciliari. Se si riconosce una inadeguatezza, ovviamente ad essa ripugna qualunque assolutizzazione del Concilio...

Infatti, almeno dal punto di vista del linguaggio adottato nei Testi del Concilio, è possibile affermare come, in non pochi casi, esso risulti non pienamente adeguato alle presenti necessità di dialogo con la cultura e, dunque, proprio per essere fedeli al Concilio, è necessario leggerlo in piena continuità, sia con l'intera Tradizione ecclesiale precedente, sia con il Magistero successivo, nel quale un particolarissimo posto é occupato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, il Catechismo del Concilio.

e, più avanti aggiunge: "È davvero possibile mutare il linguaggio, senza, in fondo, mutare qualcosa anche del contenuto essenziale del dato rivelato?"."

Io la risposta penso di averla trovata.

Anonimo ha detto...

card Siri firmò perchè si fidava della protezione di Cristo sulla Chiesa.

ah sì ? allora il card. Siri si è fidato, ma la protezione sulla Chiesa (contro le insidie del modernismo rampante e sovversivo) da parte di Cristo e del Suo Santo Spirito non c'è stata ? come si spiega questo strano fatto: che la potenza di Nostro Signore Capo della Chiesa, sarebbe stata inferiore -perdente?- di fronte alla potenza subdola dei novatores che hanno determinato la compilazione ambigua e nefasta dei documenti, ancora oggi non interpretabili secondo Tradizione ?

mic ha detto...

Riformulo il mio commento del 02 dicembre 2012 19:44, per correggere un refuso

Ringrazio Michele per la segnalazione.
Tra poco metterò a disposizione l'intero testo dell'interessante lectio Magistralis, che sicuramente avrà molto da insegnarci, soprattutto conoscendo lo spessore del card. Piacenza.

Nello scorrerla - ma richiederà una lettura molto attenta - ho notato che nel passo che riporto conferma l'affermazione del Santo Padre sulla Gaudium et Spes:

[...] 2. Le conseguenze antropologiche di una gnoseologia irrisolta

La Gaudium et spes, anche se con un’analisi culturale e sociale, che oggi è, in parte, oggettivamente “datata”, indica la questione gnoseologica come radice dei mutamenti antropologici e culturali.[...]

Andrà meditato tutto il capitolo sulla gneosologia irrisolta: un elemento centrale della crisi in cui siamo. Basta ricordare cosa ne pensasse Romano Amerio, quando parla della "dislocazione della Divina Monotriade", cioè del primato dell'esperienza sulla conoscenza.

« Alla base del presente smarrimento vi è un attacco alla potenza conoscitiva dell’uomo, e questo attacco rimanda ultimamente alla costituzione metafisica dell’ente e ultimissimamente alla costituzione metafisica dell’Ente primo, cioè alla divina Monotriade. [...] Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così nell’anima umana il vissuto dal pensato. Se si nega la precessione del pensato dal vissuto, della verità dalla volontà, si tenta una dislocazione della Monotriade ».

Intuibile il sovvertimento della realtà che ne deriva da quando, dal concilio Vaticano II, è cambiato il cardine su cui si fonda la Fede, spostato dall'oggetto-Rivelazione al soggetto-Chiesa/Popolo-di-Dio pellegrina nel tempo e di fatto trasferito dall'ordine della conoscenza a quello dell'esperienza.