Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 18 ottobre 2010

Scrutiamo alcuni dati della Riforma liturgica post conciliare: il “mysterium fidei” del canone romano

Alcune considerazioni sulle modifiche alla formula di Consacrazione e sulla introduzione di nuove preghiere Eucaristiche, partendo da una citazione tratta dal libro di Annibale Bugnini: La Riforma Liturgica, C.L.V. Ed. Liturgiche, 1997, pp.447-448 :

«Questi cambiamenti sono dovuti essenzialmente a ragioni di completezza e di chiarezza pastorale. La cosa si spiegava così:
  1. nella Scrittura non vi è un’unica formula, ma ve ne sono quattro...
  2. Nella liturgia bisogna dunque o scegliere uno di questi testi a preferenza degli altri, o fare delle formule composte. …
  3. La formula del canone romano per la consacrazione del pane (Hoc est corpus meum), accettata anche dal canone ambrosiano del giovedì santo:… È per se stessa notevolmente incompleta dal punto di vista della teologia della messa.
  4. L’aggiunta “Mysterium fidei” nella formula del canone romano per la consacrazione del vino: non è biblica, si trova solo nel canone romano, è di origine e di significato incerti…»
Non dimentichiamo che il canone romano risale alla tradizione orale di S.Pietro che certamente trasmette le parole da lui stesso udite dal Signore. Il Canone è il centro della Messa, intesa come un Sacrificio.
Secondo il Concilio di Trento, esso risale alla tradizione degli Apostoli ed era sostanzialmente già completo ai tempi di Gregorio Magno (anno 600). La Chiesa Romana non aveva mai avuto altri Canoni. Il passo stesso del “mysterium fidei” nella formula della Consacrazione è un’antica tradizione che Innocenzo III testimonia esplicitamente in una risposta data all’Arcivescovo di Lione. Anche san Tommaso d’Aquino dedica un articolo della sua Summa Teologica alla stessa giustificazione del “mysterium fidei”. Ed il Concilio di Firenze confermò esplicitamente il “mysterium fidei” nella formula della Consacrazione.

La Mediator Dei afferma e conferma che il Sacrificio di Cristo è uno ed unico ed appartiene a Lui solo. E non è un caso che le parole "mysterium fidei" siano pronunciate al momento della Consacrazione del Calice e quindi del Sangue della Nuova ed eterna Alleanza; il Signore ci comanda di fare haec (questo) in sua memoria fino alla fine dei tempi. Anche le parole "mysterium fidei" appartengono a Cristo, che suggella così la sua Azione espiatrice e redentrice e qui non ci resta che adorare e accogliere.  Nella Messa riformata, invece, esse vengono messe in bocca all’assemblea sotto forma di annuncio, che tronca in maniera brusca la profonda compenetrazione con quanto accade sull’Altare.

Praticamente il “mysterium fidei” è stata eliminata dalla formula della Consacrazione e posto subito dopo di essa per suscitare l’acclamazione dei fedeli. Così facendo si evidenzia il nuovo stile 'narrativo' piuttosto che 'attuativo' della Consacrazione che è particolare Actio Christi, come lo è del resto tutta la celebrazione, che ora è diventata azione dell'assemblea.

Far seguire l'espressione da una frase presa o elaborata da san Paolo, frase di significato escatologico, invocante la venuta finale del Signore sposta il mistero della fede dal momento del sacrificio redentivo di Cristo al momento della sua sua venuta, implicitamente dalla Croce alla Resurrezione poiché il Cristo che si attende per la nostra liberazione finale è quello Glorioso, Risorto, non certo il Cristo sofferente che ci procura la salvezza con la sua perfetta obbedienza alla Volontà del Padre.
In tal modo, senza alterare il Canone in modo da poter far gridare all'invalidità della Messa Nuova, sono riusciti a cambiare il significato della Messa. Che infatti viene intesa, anche in documenti ufficiali locali, quale “celebrazione della Risurrezione del Signore”. Perciò, essendo la Resurrezione motivo di gioia, la Messa tende a diventare un banchetto gioioso avvicinandosi da questo lato al “banchetto di lode” dei Protestanti. E alla gioia della Resurrezione, del Cristo che ci avrebbe già redenti tutti con la Croce, non posson forse partecipare tutti, tutte le sette, le religioni? Da qui, il fondamento per le Messe interconfessionali e con tutte le altre religioni.

Questa trasformazione è stata resa possibile anche da altri mutamenti, introdotti sempre in modo sfumato, come il ruolo più ampio attribuito all'assemblea dei fedeli nella celebrazione della Messa. Mentre prima era chiaro (Pio XII) che i fedeli offrivano il sacrificio solamente in voto, spiritualmente, senza sovrapporsi all'azione dell'officiante, che rinnovava in modo incruento quanto avvenuto sul Calvario; ora invece l'assemblea sembra avere un ruolo più ampio, sotto “la presidenza del sacerdote”. La frase di san Pietro, “ora siete popolo di Dio”, perché tratti dalle tenebre del paganesimo, conferente un titolo d'onore ai cristiani, viene intesa malamente come se istituisse un sacerdozio dei fedeli, da porre sullo stesso piano di quello del vero sacerdote. Tutto ciò è fatto capire in modo ambiguo ma non per questo meno reale.

Ricorda Romano Amerio in Iota unum:
“ ...È d’altronde significativo che nel Messale antico tutte le parole commemorative e operative del canone stiano sotto la rubrica infra actionem.”. Ed Lindau 2009, pag. 538)
Non dimentichiamo poi che nella Messa uso Antiquior il canone viene letto in silenzio e non ad alta voce, proprio per dare la giusta solennità e sottolineare la grandezza del Sacrificio divino e indurre atteggiamento di silenzio, di sacralità, di raccoglimento e di compartecipazione dinanzi ad esso...
Ora, anche uno che non sia teologo e liturgista, riguardo ai quattro punti citati, dei quali Bugnini parla con asettico tecnicismo e con pressapochismo facilmente smontabile, si pone alcune importanti domande:
  1. se nella scrittura vi sono quattro formule, allora la chiesa avrebbe sempre sbagliato a proporre soltanto il canone
  2. perché mai "bisogna scegliere" nuovamente se esistono venti secoli di "scelte" già fatte con chiarezza? Qualsiasi decisione ragionevole non può prescindere da tutto ciò che la Chiesa ha sempre celebrato e professato.
  3. la liturgia della Chiesa sarebbe sempre stata "notevolmente incompleta"? La Chiesa avrebbe sempre sbagliato? Il cosiddetto "punto di vista della teologia della messa" contraddice la storia liturgica della Chiesa?
  4. se l'origine e il significato di qualche parola fossero "incerti" per qualunque motivo, allora perché la Chiesa non li ha mai cambiati?
Per decine di secoli la Chiesa ha messo mano alla liturgia con estrema delicatezza e assoluto timore, cambiando il minimo indispensabile e solo sulla base di diffusissime sante devozioni (ad esempio: le preghiere ai piedi dell'altare, il Prologo di Giovanni dopo la benedizione...) al punto che da papa Damaso fino alla riforma liturgica non si registra nessun cambiamento "strutturale".

Purtroppo è così che nascono i fautori delle messe "animate" da tanti segni, gesti, balli, cartelloni, intrattenimenti, spettacolini, estrosità, è così che la santa Messa anziché elevare le anime al Signore finisce per essere un'autocelebrazione dell'assemblea... Per lo stesso motivo anche il Messale approvato da Paolo VI (la "forma ordinaria" della Messa) è stato tradito e umiliato: la Messa viene ovunque celebrata con abusi ed approssimazioni, confondendo la partecipazione col protagonismo e la spiritualità con la quantità di parole dette e di gesti fatti. In barba alle raccomandazioni della Sacrosanctum Concilium. [vedi anche]

Mi sembra molto appropriata come conclusione, quest'altra citazione da Romano Amerio:
La nuova liturgia è dunque psicologistica anziché ontologica, soggettiva anziché oggettiva, non esprime il trascendente mistero ma i sentimenti con cui i fedeli lo percepiscono, è antropologica e non teologica. Il proprio del culto è di stimolare il senso del divino anziché di porgere all’uomo il divino: perciò l’assemblea vale più dell’eucarestia e il popolo di Dio prevale al sacerdote.
Questa variazione ne produce una seconda, teorizzata colla dottrina della creatività liturgica. Il popolo di Dio riversa la propria cultura e il proprio genio nei riti, e il sacerdote esprime sé stesso nella celebrazione. L’oggettività della liturgia, che è un adombramento dell’Oggetto assoluto, deve cedere al valore del soggetto umano che vuole esprimersi. SC, 21 distingue la parte mutabile della liturgia dalla parte immutabile senza però definire quale quest’ultima sia. Se si mutano persino le parole della consacrazione, non si vede invero dove possa collocarsi l’immutabilità. Evidentemente la parte mutabile dei riti si mutò di fatto sempre nel corso dei secoli cristiani, ma cautamente, modicamente, sapientemente.
La riforma avrebbe dunque trovato certamente molte parti antiquate e dissone nei tempi, che meritavano il cangiamento. Cito, per esempio, il calendario delle Quattro Tempora, inapplicabile ormai per una Chiesa dilatata a paesi che conoscono solo due stagioni, o le preghiere «pro Christianissimo Imperatore» nell’officio in Parasceve. Così si doveva certissimamente espungere (e fu espunto) il giuramento, che nel rito della consacrazione il nuovo vescovo doveva prestare, di non ammazzare e non cospirare ad ammazzare il Papa. Tuttavia altro è mutare i riti per accomodarli a condizioni obiettive manifestamente mutate e altro è invece stabilire per massima che i riti si debbano acconciliare alla psicologia, al costume, al genio delle nazioni e persino degli individui.
Il principio della creatività consegue al falso supposto che la liturgia debba esprimere i sentimenti dei fedeli e sia una loro produzione: essa esprime invece la realtà del mistero ed è una azione del Cristo. Vi è qui un’implicita risoluzione della liturgia in poetica.
La creatività che non è principio nemmeno in estetica, giacché al fondo delle invenzioni dell’arte vi è qualcosa di increato, anzi di increabile, è licenziata e promossa dalla nuova liturgia. Innanzi tutto non vi sono quasi più norme imperative e in moltissimi punti viene al celebrante proposta una pluralità di parole o di atti tra cui scegliere ad libitum. Non sono più possibili infrazioni perché il creare esclude condizioni e limiti. Questa opzionalità fa che ciascun celebrante ritocchi, aggiunga, ometta creando le forme più consentanee alla propria personalità, come se si trattasse di esprimere sé stesso anziché di adorare, di dar forma al mistero anziché di conformarsi al mistero. (R.Amerio - Iota Unum, Ed. Lindau 2009, pag. 561-562)

13 commenti:

Viator ha detto...

Non c’è requie per il fu Annibale Bugnini, il principale artefice della riforma liturgica postconciliare, improvvisamente detronizzato da questo suo ruolo nel 1975 da un Paolo VI addolorato per i suoi eccessi, ed esiliato per punizione in Iran, con l’improbabile titolo di nunzio apostolico, infine morto nel 1982.
Non c’è requie perché “L’Osservatore Romano”, nel riferire i lavori del sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, imbattutosi nel suo nome citato in aula da un arcivescovo iraniano, l’ha stampato così:
“Banana, l’ultimo nunzio pontificio in Iran…”.
Per la verità l’arcivescovo iraniano, Thomas Meram, di Urmya dei caldei, in aula si era espresso correttamente, in inglese:
“The late Papal Nuncio in Iran, Bugnini…”. Cioè: “L’allora nunzio pontificio in Iran, Bugnini…”.
Ma nella versione italiana dell’intervento, immortalata il 16 ottobre dal giornale della Santa Sede, l’allora nunzio è diventato “l’ultimo” e il suo nome è stato cambiato appunto in… “Banana”.
Ed è tuttora così anche nel sito del Vaticano, nella documentazione in italiano del sinodo. Idem in quella in spagnolo: “Mons. Banana…”. Mentre in quella in francese si legge: “Le Vicaire apostolique en Iran, feu Boinini…”.
È come se Bugnini si sia procurato una tale “damnatio memoriae” da rendere impronunciabile persino il suo nome.
Per la cronaca, l’arcivescovo iraniano Meram ha citato Bugnini per il libro da lui scritto nel 1979 “La Chiesa in Iran” e per fare un confronto tra i dati di quel periodo e quelli di oggi sulla condizione dei cattolici in quel paese, prima e dopo la rivoluzione dell’ayatollah Khomeini.

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/10/19/bugnini-impronunciabile-meglio-chiamarlo-banana/

Anonimo ha detto...

ho esplorato il blog e ho trovato proposte interessanti e inaspettati dibattiti

grazie per questa nuova fonte di informazione

Viator ha detto...

Da un recente articolo di Inos Biffi

[...] Noi possiamo celebrare "qui e adesso", perché il Cristo glorioso eternamente celebra con la Chiesa del cielo. Ecco perché la costituzione conciliare afferma che noi partecipiamo alla liturgia celeste, la quale trascende e insieme attrae la nostra. Comprendiamo allora che a celebrare con Cristo capo sono tutte le sue membra: esiste, infatti, un unico corpo del Signore, un'unica Chiesa.
Perciò, quando siamo all'altare per la messa, o conveniamo per i sacramenti, o siamo raccolti per le lodi al Signore, la fede ci fa percepire col Crocifisso risorto la presenza degli angeli e dei santi, che invisibilmente intervengono a pregare con noi nella nostra celebrazione: una presenza invisibile e quindi più reale, più consistente e più vera, di quella dei fedeli che vediamo intorno a noi e dei quali percepiamo sensibilmente i volti e le voci.
Né questi sono solo pii e devoti sentimenti. È invece pura teologia, per non dire semplice dogma. In ogni caso è la certezza che proclamiamo nella preghiera eucaristica, in particolare nell'antico primo canone, di cui, dopo averlo per lo più abbandonato, scopriamo la mirabile ricchezza.
A questo punto avvertiamo che la celebrazione liturgica equivale a una proclamazione della comunione dei santi. Essa è in certo modo il sacramento del Paradiso. Si danno appuntamento nella liturgia tutti i giusti della storia di salvezza, a cominciare da Abele, per giungere alla vergine Maria, al suo sposo, agli apostoli, ai martiri e a tutti quanti formano la Chiesa celeste, senza che siano tralasciati i cori angelici con i quali sciogliamo il nostro canto di lode.
Il testo conciliare recita al numero 8: "Insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria".
La liturgia ci porta, così, in un altro mondo, quello della grazia e della gloria, che solo ha senso per la fede. Ogni celebrazione appare così il vertice della professione di fede.

(©L'Osservatore Romano - 18-19 ottobre 2010)

Anonimo ha detto...

La liturgia ci porta, così, in un altro mondo, quello della grazia e della gloria, che solo ha senso per la fede. Ogni celebrazione appare così il vertice della professione di fede.

Grazie infinite, Viator, per questo prezioso documento, di cui andrò a cercarmi il testo intero.

Ne sono ancor più felice perché vi riscontro molte delle verità da me espresse ripetutamente parlando della Santa e Divina Liturgia.

E non posso fare a meno di sottolineare che l'Eucaristia non è solo "vertice della professione di Fede", ma ne è anche fonte perenne per alimentarla: "culmine e fonte", come felicemente detto in molti documenti ecclesiali.

Durante la Liturgia infatti siamo ricolmi di tutte le Grazie escatologiche di cui abbiamo bisogno, quelle dei tempi ultimi, che sono i nostri: ultimi nel senso che sono il compimento della Storia della Salvezza per la Presenza e l'Opera del Signore.

Anonimo ha detto...

Né questi sono solo pii e devoti sentimenti. È invece pura teologia, per non dire semplice dogma. In ogni caso è la certezza che proclamiamo nella preghiera eucaristica, in particolare nell'antico primo canone, di cui, dopo averlo per lo più abbandonato, scopriamo la mirabile ricchezza.

confortevole, inoltre, che si riconosca ormai apertamente la mirabile (per me insostituibile) ricchezza del canone roomano...

alino77 ha detto...

Nelle mie letture estive mi sono imbattuto nel libro "Il Movimento Liturgico", cioè la traduzione in italiano del diario di Don Bernard Botte, professore di liturgia, consultore del Consiluim, ed ispiratore dell Preghiera Eucaristica II.

nel capitolo 16 "Riforma della Messa" (pag 206-215) parla proprio di come sono state redatte le preghiere eucaristiche, e fornisce un'ipotesi sul motivo per cui Paolo VI ne richiese la stesura.

Riprendo da pag.209
"Monsignor Wagner era stato chiamato da Paolo Vi che l'aveva incaricato di redigere tre nuove preghiere eucaristiche da utilizzare oltre il Canone Romano.[...] Questa iniziativa del Papa era inattesa e ci si domandava chi l'avesse suggerita. [...] Gli Olandesi, impazienti nell'attesa di una riforma che non arrivava mai, avevano rotto gli indugi e producevano preghiere eucaristiche in quantità industriale. Davanti a questa anarchia, il Cardinal Alfrink aveva preso un'iniziativa. Aveva fatto comporre una raccolta che comprendeva la traduzione olandese del Canone Romano e sei preghiere eucaristiche nuove. Sottopose questa raccolta al giudizio della Santa Sede e si impegnò a far cessare l'anarchia se tre dei nuovi testi fossero stati approvati. [...] Il Card. Alfrink non ricevette l'autorizzazione che richiedeva. [...] Ecco come come le cose possono essersi svolte. Paolo VI riceve la richiesta del card. Alfrink. Vi riflette, chiede consiglio, e alla fine ordina la costituzione di una commissione speciale. Tutto ciò richiede un certo tempo. In seguito, il Papa si chiede se la soluzione proposta per l'Olanda non possa essere opportuna per tutta la Chiesa latina, e convoca Monsignor Wagner. Sarebbe dunque la proposta del card. Alfrimk a suscitare l'iniziativa di Paolo VI".

Chiaramente la ricostruzione di Don Botte non è supportata da riscontri, ma può essere veritiera.

alino77 ha detto...

Ciò che mi ha colpito inoltre è una frase che aggiunge Don Botte, giustificando il suo parere negativo ad una delle 6 preghiere eucaristiche olandesi:
"non si negavano dogmi, ma si era giunti a matterli fra parentesi ed era difficile vedere in questa preghiera un'espressione della fede autentica".

Ciò di cui mi interrogo da molto tempo è se in effetti questa frase possa essere applicata anche adesso, in cui vi è pluralità di preghiere eucaristiche.

Tutte fanno vedere chiaramente l'espressione della fede autentica? Se sì, dove sta l'arricchimento se poi la scelta è affidata legittimamente al sacerdote, ma con criteri fin troppo liberisti?

Non era forse meglio stabilire, in funzione del tempo liturgico, o comunque in modo fissato, quale preghiera eucaristica utilizzare?

Volete una bozza di riforma della riforma veramente efficace e chiarificatrice? Tornare ad una sola preghiera eucaristica, meglio il Canone Romano (che fra l'altro alla fin dei conti è oggi quello meno usato...) con qualche modifica (ma senza stravolgimenti snaturanti).

Forma straordinaria ed ordinaria utilizzerebbero la stessa preghiera eucaristica (in latino o in italiano) e torneremmo almeno ad una effetiva unità del rito latino.

Alino77

Anonimo ha detto...

Chiaramente la ricostruzione di Don Botte non è supportata da riscontri, ma può essere veritiera.

può essere veritiera, anche perché Alfrink (Utrecht) è uno dei vescovi che fanno parte della 'fronda' che ha spezzato in due l'andamento del concilio rifiutando i documenti preparatori predisposti dalla Curia e pretendendo la stesura di documenti nuovi ad opera di commissioni composte da Padri conciliari (sostanzialmente le conferenze episcopali in nuce)... Soltanto che all'epoca non c'era dimestichezza e intesa sufficiente per portare avanti un'opera del genere. E fu così che prese il sopravvento l'ala modernista.
Credo tu sappia chi era il brillante collaboratore, esperto di fiducia di un altro dei componenti della "fronda": Frings (Colonia), il quale, tuttavia, strada facendo, sembra aver mitigato la sua formazione modernista... ma ormai i danni son fatti e la Chiesa non è più la stessa: quella visibile, intendo...

Anonimo ha detto...

Forma straordinaria ed ordinaria utilizzerebbero la stessa preghiera eucaristica (in latino o in italiano) e torneremmo almeno ad una effetiva unità del rito latino.

trovo pertinenti e in parte condivisibili le tue osservazioni sulle preghiere eucaristiche,

nutro forti perplessità sull'ipotesi quotata

alino77 ha detto...

"Credo tu sappia chi era il brillante collaboratore, esperto di fiducia di un altro dei componenti della "fronda""

Sai che qualcuno chiama questo brillante collaboratore "modernista conservatore" ed altri "reazionario bigotto"?

possibile ancora una Chiesa così "vasta", e con "pareri" così "variegati" (come sono stato buono...)?

Di par mio, continuo a considerarmi fratello in Cristo di tutti... anche tuo. ;)

Alino77

Anonimo ha detto...

Io ho una certa saggezza meraviglioso.

Anonimo ha detto...

Ho inteso post su qualcosa di simile sul mio sito e mi avete dato un'idea. Cheers.

Anonimo ha detto...

Che un bel post. Adoro leggere questi tipi o articoli. Posso? T aspettare di vedere ciò che altri hanno da dire..