Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 17 ottobre 2017

‘Et Verbum caro factum est’. La drammatica esperienza di un sacerdote

Et Verbum caro factum est’. La drammatica testimonianza di un sacerdote che ha vissuto un’esperienza di redenzione; ma ciò nonostante è stato condannato senz’appello, almeno finora. 
Ho avuto l’occasione di conoscerlo personalmente e mi ha affidato in anteprima la lettura di un libro di imminente pubblicazione nel quale, oltre ad aprire il suo cuore, illustra con dovizia di documentazione il sofferto iter da lui vissuto fino alla dolorosa conclusione, alla quale speriamo possa esserci una diversa soluzione. Don Marco è il suo vero nome e Verona la città in cui ha svolto per anni la sua pastorale. Il tema è delicato; ma forte e chiara è la trasformazione di un'anima e di una vita umana prima che sacerdotale, per effetto della Grazia. Trasformazione purtroppo disattesa o addirittura, negli effetti, di fatto negata.
Don Marco ha accettato di rispondere alle nostre domande che mirano ed estrarre il succo della drammatica vicenda che vede protagonista un’anima sacerdotale nel nostro tempo, in cui il corpo mistico di Cristo soffre di una grande sete di autentici santificatori. Sosteniamolo con la nostra preghiera e vicinanza spirituale e affidiamo uno sbocco diverso della vicenda alla Provvidenza e a chi, leggendo, abbia la competenza e la compiacenza di suggerire possibili e adeguati comportamenti ad hoc nelle sedi opportune. Allo scopo, ovviamente, egli metterà a disposizione tutti i documenti del caso. (M.G.)

Don Marco, cosa lo ha spinto a scrivere questo libro?
L’idea del libro nasce dopo le mie dimissioni forzate dallo stato clericale, dimissioni che io ritengo profondamente ingiuste. Ѐ stata questa grande sofferenza, questo profondo senso di ingiustizia a convincermi a mettere per iscritto questa mia esperienza di “anima dannata”.

Potrebbe spiegare meglio cosa intende dire?
Dopo la grave caduta nel reato di pedofilia e dopo aver scontato la giusta condanna, iniziai a fare un bellissimo cammino di recupero, cammino, tra l’altro, che la Chiesa stessa mi chiese di fare. Per quindici anni posso affermare che la mia fu una vera storia di redenzione, di resurrezione, di riscatto dal male fatto, un bel cammino umano e sacerdotale.
Purtroppo, dopo avermi fatto andare avanti quindici anni, la Chiesa, improvvisamente, non ha più voluto riconoscere questo cammino di redenzione, nonostante le innumerevoli testimonianze molto positive e, giudicandomi con una legge retroattiva, senza darmi alcuna possibilità di difesa, ha deciso d’autorità di dimettermi dallo stato clericale. Ecco perché ho parlato di anima dannata. Come le vere anime dannate, anch’io non ho più possibilità alla redenzione, al riscatto (almeno su questa terra). C’è, però, una profonda differenza tra le due realtà.

Quale?
Le anime dannate sono tali non per volontà di Dio ma per il loro radicamento fino all’ultimo respiro al peccato e al male. Io sono stato allontanato definitivamente dal servizio attivo dopo aver vissuto in Grazia di Dio e lontano dal peccato per ben quindici anni. Un paradosso enorme. La Chiesa mi ha punito con la pena più severa non perché mi ero ostinato nel male, ma perché mi ero “ostinato” a vivere in Grazia di Dio e lontano dal peccato. Una contraddizione logica oltre che antievangelica.

Don Marco, lei sa però che la legge in vigore nella Chiesa contro la pedofilia è stata fatta per tutelare al 100% i minori. Le possibilità di reiterazione del reato in questo campo sono  molto alte. Lo stesso Papa recentemente in un discorso tenuto alla Pontificia Commissione per la tutela dei minori ha affermato che non firmerà mai una richiesta di grazia per i colpevoli di questi reati.
Con tutto il rispetto per il Papa ma non sono per niente d’accordo su questa affermazione. Il tema della grazia è un elemento essenziale e strutturale nella vita della Chiesa e la possibilità di grazia non può essere cancellata nemmeno per i casi più gravi. Si tenga presente, inoltre, che in Italia la grazia può essere concessa dal Presidente della Repubblica per qualsiasi tipo di reato nessuno escluso. Il motivo è molto semplice. Una legge che non ammette eccezioni al famoso detto “Dura lex sed lex” può diventare anche fonte di ingiustizie, il contrario appunto della natura di una legge. La Chiesa che esclude a priori  dalla grazia alcuni colpevoli di reati è una contraddizione in termini, ed è un vero assurdo.
Sono convinto che la Chiesa debba perseguire in modo fermo la pedofilia, ma la Chiesa, per mandato divino, ha anche il dovere di riconoscere e di incoraggiare un eventuale intervento della Grazia di Dio sulle singole persone. Ѐ la sua vera missione. Questo è il vero motivo per cui, al di là del profondo senso di ingiustizia provato, ho voluto scrivere un libro.

In effetti, lei nel suo libro parla moltissimo di Grazia e nello stesso tempo, su questo tema, afferma che nella Chiesa è in atto un vero mutamento culturale e sapienziale. Che cosa intende dire?
Innanzitutto tengo a precisare che nel libro non svolgo un trattato teologico sulla Grazia. Della Grazia metto in evidenza tre aspetti che ritengo fondamentali:
  • la Grazia come dono fatto a ogni persona, 
  • la libertà umana di rifiutare questo dono (vale a dire il rimanere o meno nel peccato), 
  • le conseguenze personali e sociali di una vita in Grazia di Dio e lontano dal peccato. 
In pratica parlo di quella che la Tradizione Cattolica chiama Grazia attuale e non solo nel senso soprannaturale del termine, cioè come necessaria per compiere atti buoni  e accrescere la Grazia Santificante per la salvezza eterna, ma ne parlo soprattutto dal punto di vista morale, una Grazia che se accolta rivela nel singolo e, ci tengo a sottolinearlo, nella società, il vero amore, la vera misericordia e la potenza di Dio.

Interessante. Continui!
La Grazia e la conversione non sono solo meri concetti teologici per addetti ai lavori. Il cambiamento operato dalla Grazia in collaborazione con la nostra cooperazione rende evidente e reale la misericordia e la potenza di Dio sia nell’uomo convertito sia nell’ambiente che lo circonda. I benefici sono reali sia nella persona sia nella società. 

Mi sfugge ancora il mutamento culturale e sapienziale della Chiesa.
Ci stavo arrivando. La Chiesa, nel passato, era molto attenta a questa dinamica della Grazia. Era ben conscia che solo se l’uomo si allontanava dal peccato la Grazia di Dio poteva renderlo migliore, poteva rendere migliore la società! L’insistenza che una volta si aveva sull’osservanza dei dieci comandamenti, sulla frequenza alla Santa Messa e al sacramento della confessione e sulla pratica delle opere di misericordia, rispecchiava questa sensibilità di una Chiesa attenta sia alla salvezza della singola anima sia a rendere migliore e più giusta questa società umana.

E oggi la Chiesa non avrebbe più questa sensibilità?
Non mi pare proprio che ci sia questa attenzione. Oggi nella Chiesa vanno forte termini come “accompagnamento”, “mettersi in ascolto”, “dialogo” e naturalmente l’onnipresente “misericordia” anzi “Misericordia”, con la m maiuscola, che tutto copre anche i nostri peccati, una misericordia che sarebbe data da Dio sempre, comunque e dovunque a prescindere dal nostro pentimento. Proprio in questo nuovo concetto di misericordia (e quindi di Grazia) si avverte il mutamento culturale e di fede della Chiesa rispetto al passato.

Sta forse affermando che la Chiesa ha messo da parte la dottrina tradizionale della Chiesa sulla Grazia?
Non è un’affermazione avventata dire che la Chiesa si è allontanata dalla dottrina tradizionale sulla Grazia. Lo stesso papa Francesco, parlando a braccio con i giornalisti durante il volo di ritorno dalla sua visita in Armenia nel 2016, ha affermato che: “sulla dottrina della giustificazione Lutero non aveva sbagliato”. Giustamente Paolo Pasqualucci, in un suo recente articolo, fa notare che l’affermazione di Bergoglio è la logica conseguenza di ciò che la Chiesa ha affermato nella “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione” del 31 ottobre 1999 dove in alcuni articoli si condividono insieme ai luterani le affermazioni che soltanto per mezzo della Grazia noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo e che la giustificazione avviene soltanto per opera della Grazia. In queste affermazioni l’allontanamento dalla dottrina della Chiesa sulla Grazia “codificata” nel Concilio di Trento è molto evidente. Il nuovo concetto di Grazia, e quindi di misericordia, che raggiungerebbe ogni uomo indipendentemente dal suo essere in uno stato di peccato o meno, affonda le sue radici in queste dichiarazioni. Si insiste, quindi, molto di più sull’affidarsi alla misericordia di Dio, qualunque cosa si intenda, e quasi niente sulla conversione e l’allontanamento dal peccato. Paradossalmente da questa concezione filo-protestante viene fuori una sfiducia sia nella Grazia, che predispone il cuore dell’uomo alla conversione, sia nella capacità dell’uomo nel rispondere alla Grazia di Dio per uscire dal peccato. Questa duplice sfiducia per me ha avuto effetti devastanti.

Don Marco cos’è che ha sofferto di più in questi anni di conflitto con la Chiesa?
Posso dire che ho sofferto la durezza, la chiusura, la cattiveria, la totale mancanza di misericordia e di umanità da parte della Chiesa. Ѐ sufficiente ricordare che non ho avuto una sola possibilità di contatto con Roma e non ho avuto una sola possibilità di difesa, o di un semplice dialogo con qualcuno. Tutto si decideva e si è deciso sopra la mia testa. Ero semplicemente un non esistente, una pratica burocratica che doveva essere chiusa.
Sicuramente ho sofferto moltissimo la distruzione di tutte le mie relazioni umane che avevo faticosamente costruito nella Diocesi di Verona dopo la caduta. Vedersi distruggere tutte queste relazioni non per una colpa attuale e per di più da una Chiesa che ha dogmatizzato parole come “accompagnamento”, “misericordia”, “dialogo” e “comprensione” fa male ancora oggi.
La sofferenza più grande, però, è stata quella di costatare che alla Chiesa non interessa più il fatto che l’uomo con l’aiuto di Dio possa seriamente cambiare. Ѐ come se la Chiesa da questo punto di vista avesse perso o voluto perdere una prospettiva soprannaturale. Nel libro scrivo che la prospettiva per la Chiesa non può che essere soprannaturale. L’uomo può cambiare, perché è Dio che lo cambia (se l’uomo lo desidera) e se Dio lo rinnova lo fa diventare un uomo nuovo (S. Paolo) e questo rinnovamento operato da Dio è, in primis, un recupero nel corpo mistico di Cristo e, di conseguenza, una  ricchezza per tutta la società.

In che senso?
Quando l’uomo si allontana dal peccato e si avvicina a Dio permette alla Sua potenza e alla Sua Grazia di agire sia nel singolo sia nella società. Non è solo la salvezza della singola anima in gioco. Più le persone si allontanano dal peccato e si riavvicinano a Dio, più le società ne hanno dei benefici, diventano “migliori”, più umane e la misericordia e l’amore di Dio si rendono più evidenti. Insistere come si fa oggi sul fatto che Dio è misericordioso al di là dei nostri peccati, o peggio accettando anche i nostri peccati – Dio ci ama così come siamo, è la parola d’ordine d’oggi nella Chiesa – è ingannevole. Non perché Dio non ami ogni singola persona, ma perché Egli rispetta pienamente la nostra libertà e le nostre scelte. Dio, però, non può assolutamente né amare né accettare il peccato. Quindi, La Sua misericordia e il Suo amore si riversano abbondantemente sull’uomo quando quest’ultimo si muove per allontanarsi dal peccato e si riavvicina a Dio. Ricordiamoci della parabola del Figliol Prodigo. Il Padre corre incontro al figlio nel momento che il figlio torna al padre. Da quel momento il figlio è ricoperto di ogni benedizione, di ogni grazia e di ogni ricchezza. Se si vuole a fare un buon servizio all’uomo e alla società umana è necessario ricordare continuamente questo “movimento” evangelico.

Lei conclude il libro scrivendo che la Chiesa dovrebbe tornare ad Anania. Cosa significa?
La figura di Anania di Damasco la troviamo negli Atti degli Apostoli al capitolo 9. Ora Anania può essere considerato la figura della Chiesa stessa. Invitato da Dio ad andare incontro a Paolo e a inserirlo nella comunità cristiana, poteva agire seguendo due vie.
Quella che dicevano tutti. Cioè che S. Paolo era un vero pericolo, non bisognava fidarsi, aveva fatto molto male a tante persone. Oppure fidarsi delle parole di Dio. Due possibilità: la paura e il sentire comune dell’opinione pubblica o la fiducia in Dio. Anania, la Chiesa di allora, ha paura. Ha paura di ciò che diranno gli altri e ha paura di Paolo per il male che ha fatto. Ma si fida di Dio e Lo ascolta. Questa prospettiva soprannaturale permetterà non solo a San Paolo di diventare un grande uomo ma permetterà alla Grazia di Dio di agire nel mondo, di cambiare gli uomini, le comunità, le società con un duplice risultato: il vero bene dell’umanità stessa e la gloria di Dio. Non per niente il nome Anania significa JHWH fa grazia (´ânan-Yah) e l’uomo può godere di questa Grazia se la Chiesa si fida di Dio, se non ha paura delle conversioni e, quindi, se lascia agire la potenza di Dio senza ostacolarla. Detto più brevemente, l’uomo può godere della Grazia di Dio se la Chiesa ha uno sguardo soprannaturale.

Don Marco qual è la sua speranza?
Posso capire che oggi la Chiesa trascinata da molte paure e dall’opinione pubblica assuma misure in certi campi sempre più draconiane. Ma la Chiesa è la Chiesa fondata da Cristo e come scrivo nel libro, io mi auguro che, anche su certe tematiche, questa Chiesa torni ad avere uno sguardo soprannaturale e torni ad avere molta più fiducia in un Dio che cambia veramente i cuori degli uomini; torni ad essere in pratica Anania cioè colei che annuncia sempre, e rende evidente con il suo comportamento e con le sue decisioni, che “JHWH fa grazia” quando gli uomini si allontanano dal peccato. Questa è la vera e unica speranza per gli uomini che la Chiesa deve sempre ricordare. Se la Chiesa non ricorda più o sottovaluta la schiavitù del peccato, contribuisce a lasciare l’umanità nella disperazione.
C’è bisogno di una Chiesa che torni a dare una vera speranza agli uomini immersi nel peccato. Una Chiesa con uno sguardo soprannaturale. Forse una Chiesa così non avrà neppure più paura della conversione di un’anima dannata.

86 commenti:

irina ha detto...

Sembra paradossale che la chiesa, della misericordia, venga richiamata ad uno 'sguardo soprannaturale' da 'un'anima dannata'.
Mi sembra che questo esempio, in carne ed ossa, evidenzi la differenza tra chiesa ideologica e Chiesa teologica:la prima parte e va, già sapendo tutto ed applicando a tutto e tutti i suoi schemi; la seconda, teologica, non si stanca di imparare dal particolare vivente, se, come e quando la Dottrina vi si riveli e si riconfermi.

Anonimo ha detto...

La mia e' una impressione " a pelle "percio' cestinatela : Lasci stare il libro , lasci stare le rivendicazioni , ponga il libro sotto il Sacro Cuore di Gesu' , glielo offra in ringraziamento della Grazia restituita , in ringraziamento per le offese patite , Ce' bisogno di anime sofferenti , offra tutto per la redenzione dei poveri peccatori e poi , dopo esseri spogliato dell'uomo vecchio , si metta in ascolto della Volonta' di Dio e se lddio la vorra' nella polvere stia nella polvere , se la vorra' sugli altari stia sugli altari . Non critichi , non rivendichi , non rimpianga , Piaccia solo a Lui , a Gesu' . Da quando apre gli occhi lo sguardo suo sia su Gesu' , Gesu' al suo fianco , Gesu' davanti a lei . Chieda aiuto alla Mamma Santissima per il proseguo della sua vita su questa terra , non pensi alla Chiesa , non pensi a riformarla , pensi solo alla salvezza della sua anima e si prodighi per la salvezza di chi le sta attorno . Preghi e pianga se le e' di aiuto giorno e notte , digiuni , il suo compito sia portare anime a Gesu' offrendole prima a Maria affinche' le purifichi , le prepari all'incontro con Suo Figlio . Ha avuto la Grazia di guardarsi in fondo all'anima e di cio' ringrazi ogni istante la SS.Trinita' . Si metta a disposizione , c'e' molto da fare , per esempio nel campo poco praticato di assistere i moribondi , portare loro conforto e consolazione al momento del passaggio da questa vita provvisoria a quella definitiva , strapparli alle grinfie del maligno , questo lo potrebbe fare ? Buon proseguimento fratello carissimo e....a rivederci lassu' , con il vestito adatto ! " A rivederci ,la Madonna l'accompagni .

Metodio ha detto...

La "Dichiarazione congiunta tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale sulla Dottrina della Giustificazione" (citata in questo e in precedenti thread) fu presentata alla Sala Stampa Vaticana il 25 Giugno 1998 dal suo firmatario, il Card. Cassidy.

Fu lo stesso Card. Cassidy ad elaborare la "Risposta della Chiesa cattolica" alla Dichiarazione.

La dottrina del n. 29 della Dichiarazione, scrive Cassidy, "non è accettabile. In effetti, questa affermazione [l’uomo giustificato è simultaneamente giusto e peccatore] non è compatibile con il rinnovamento e la santificazione dell’uomo interiore di cui parla il Concilio di Trento". Sempre Cassidy definisce "equivoca" la dottrina espressa ai numeri 28-30 e "ambigua" quella del n. 22, per concludere: "Per tutte queste ragioni, è pertanto difficile vedere come si possa affermare che questa dottrina sul 'simul iustus et peccator', nello stato attuale della presentazione che se ne fa nella Dichiarazione comune, non cada sotto gli anatemi dei decreti di Trento sul peccato originale e la giustificazione".

Nell'Angelus del 28 giugno 1998, Giovanni Paolo II definì con queste parole la Dichiarazione:

"A conclusione di un attento processo di valutazione, che ha coinvolto la Chiesa Cattolica
e la Federazione Luterana Mondiale, possiamo ora rallegrarci di una importante acquisizione
ecumenica. Mi riferisco alla Dichiarazione Congiunta circa la Dottrina della Giustificazione tra la Chiesa cattolica e la federazione Luterana Mondiale. Tale Dichiarazione afferma, quale risultato di questo dialogo iniziato subito dopo il Concilio Vaticano II, che le chiese appartenenti alla federazione Luterana Mondiale e la chiesa cattolica hanno raggiunto un alto grado di accordo su di una questione, come è appunto quella della giustificazione, così controversa durante secoli. Sebbene la Dichiarazione non risolva tutte le questioni relative all’insegnamento della dottrina della Giustificazione, essa esprime un consenso in verità fondamentali di tale dottrina (cfr. Risposta della Chiesa Cattolica alla Dichiarazione congiunta tra la Chiesa cattolica e la Federazione luterana Mondiale circa la Dottrina della Giustificazione)."

Cfr Sodalitium, n° 48, Dicembre 1998

mic ha detto...

Per come conosco don Marco, il suo atteggiamento è esattamente quello con tanta delicatezza delineato da Anonimo 10:22.
Il libro non rivendica né denuncia. Illustra una dolorosa esperienza personale, ma non ne fa un caso personale. Piuttosto mette in risalto un punto chiave, frutto della crisi epocale nella Chiesa: l'occultamento del pentimento e della Grazia.
Certo se vi fosse un reintegro nella pastorale sarebbe l'ideale. Ma, sacerdos in aeternum, e il resto è offerta.

marius ha detto...

mah...

marius ha detto...

Dice tante cose giuste, non c'è che dire.

Ma se io fossi stato un prete abusatore di bambini, invece di scrivere libri sulla propria esperienza, addirittura equiparandosi a S.Paolo (il cui approccio fu comunque molto diverso da quello che leggiamo in questa intervista), memore delle tremende parole dette da NSGC sulla macina al collo, mi sarei ritirato lontano dal mondo per espiare il mio crimine in un umile atteggiamento di "ora et labora" vita natural durante.

Anonimo ha detto...

Se, se, se, conta niente, ha sbagliato, ha pagato ed è stato messo fuori dalla porta, mentre tanti altri sono stati spostati d'ufficio ed hanno continuato a fare le stesse cose, sottaccio di tutti quelli in rehab per abuso di droghe ed altro, ha il coraggio di dichiararsi pentito profondamente e di portare la croce da solo, non vorrei facesse la fine di quei 3 sacerdoti morti suicidi recentemente e di quello spagnolo morto in circostanze misteriose, solo Dio legge nel profondo del cuore degli uomini. no comment.

Annarè ha detto...

La grazia e la redenzione non sono solo parole, ma a volte la grazia e la redenzione servono anche a far sopportare il nuovo stato di vita. Mi spiego meglio, la grazia e la redenzione da una parte (don Marco) e la grazia e il perdono dall'altra (le vittime della violenza spero siano riusciti a perdonare)sono doni eccezzionali, ma non è detto che tutto debba tornare come se non fosse successo nulla. L'ingiustizia che oggi ferisce don Marco ripagherà in qualche modo l'ingiustizia subita dai bambini? Se Dio ci ha dato la grazia della redenzione, ma non ci ha, con questo, dato anche la posizione sociale che prima avevamo, possiamo lamentarcene? Non credo. Altrimenti noi tutti che abbiamo la grazia di essere stati battezzati, ma non abbiamo ricevuto con tale dono anche i doni che l'Uomo aveva prima della caduta, dovremmo lamentarcene? Dovremmo lamentarci, perchè ci ammaliamo, fatichiamo per mantenerci in vita, per partorire, fatichiamo per imparare, fatichiamo per mantenerci saldi nella fede, e dopo tutto questo dovremmo pure passare per la morte?
Allora don Marco continui a ringraziare il buon Dio per i doni ricevuti, ma lasci fare a Dio (che muove tutto)e se ora dovrà sopportare delle "ingiustizie" non se ne rammarichi troppo, faccia il bene li dove Dio l'ha posto ora. Se subì ingiustizie Gesù, l'immacolato, che fece solo il Bene, noi che buoni non siamo non possiamo sperare in un trattamento migliore.

mic ha detto...

Annarè,
Tutti dobbiamo "lasciar fare" a Dio, ma questo non significa che non si possa far sentire la propria voce, se ci sembra il caso.

Marius,
Ferma restando l'esattezza di quanto dici, trovo molto duro il tuo intervento. Credo che conoscere la persona faccia la differenza. E non è questione di 'casuistica", ma di capacità di ascolto.

mic ha detto...

Inoltre il riferimento a San Paolo non vuol rappresentare una trasposizione di persona, ma è esemplificativo dell'atteggiamento generale, che auspicherebbe quello di Anania...

Lia ha detto...

Pregherò per lei, ma lei continui a lavorare tenacemente per la sua redenzione. Non si perda mai in pensieri oscuri e giammai nella disperazione. È probabile che venga attaccato da varie tentazioni ma lei preghi sempre e si affidi a Maria, nostra Madre Santissima, da cui avrà tanta consolazione e guida. Che Dio la benedica e le dia forza.
Lia

Anonimo ha detto...

Ricorderò nelle mie preghiere don Marco perchè il Signore possa stendere la Sua mano su di lui, illuminare il suo cammino ed aiutarlo a superare le sue difficoltà.

Luisa ha detto...


Io penso alle vittime di questo sacerdote che molto probabilmente soffriranno tutta la loro vita per l`abuso subito.

Rr ha detto...

Io penso a Padre Cristoforo, l’Innominato ed il Cardinale Borromeo, Luisa.

Luisa ha detto...


"L’idea del libro nasce dopo le mie dimissioni forzate dallo stato clericale, dimissioni che io ritengo profondamente ingiuste."

Quel che io ritengo profondamente ingiusta è la violenza subita dalla o dalle vittime, anche se il termine "ingiusta" non è adatto perchè la violenza ancor più su un bambino non può mai essere giusta, è un atto criminale del quale la o le vittime subiranno le conseguenze tutta la loro vita, raggiungo marius dicendo che se a spingerlo ad uscire dal silenzio e scrivere un libro è il suo sentimento d`ingiustizia per la sanzione estrema presa dall`autorità nei suoi confronti( del resto perchè dopo 15 anni?), una migliore reazione sarebbe forse stata di accettare la sanzione anche se durissima in espiazione del male commesso.

mic ha detto...

Se il Signore continuasse a pensare alle tante vittime di nostri errori (ferma restando la gravità di alcuni rispetto ad altri) come potremmo sperare nella Sua misericordia, sempre se riconosciamo e cerchiamo di praticare la giustizia dopo esser ritornati a Lui pentiti?
Inoltre mi colpisce il maglio inesorabile di alcuni che non recepiscono il senso e lo spirito della testimonianza.

mic ha detto...

Ho scritto errori ma intendevo peccati perché se tutto hanno conseguenze, i peccati implicano responsabilità... Non mi impelago in altri distinguo. Penso sia chiaro cosa intendo.

Luisa ha detto...

"‘Et Verbum caro factum est’. La drammatica esperienza di un sacerdote"

Mi sembra che la drammatica esperienza è quella delle vittime, e non sono vittime di un "errore" ma di un crimine, non metto in dubbio che anche il peggior criminale può sperare nella Misericordia del Signore, non metto in dubbio la verità del percorso del sacerdote, chi sono io per mettere limiti alla misericordia e all`amore del Signore , ma non ho nulla da ridire sulla sanzione della Chiesa che protegge le vittime, e sappiamo quanto poco e male lo abbia fatto nel passato.

Annarè ha detto...

Per carità mic, don Marco può far sentire benissimo la sua voce, l'importante è che sia consapevole che se cerca una risposta, o un riscatto,o la pace, non lo troverà nel mondo, ma solo in Dio, pertanto, se posso farlo come cristiana, gli consiglio di tenersi stretto il grande dono che Dio gli ha fatto e di esserne geloso, di meditarlo in silenzio, perchè, magari sbaglio, ma è più facile pentirsi di aver scritto un libro su una cosa così intima, che sentirsi soddisfatto per averlo fatto. Dobbiamo sempre stare attenti (e parlo a me più che a don Marco)ad avere lo sguardo alto, per non cadere nella vanità di questo mondo, che vuole mettere a nudo ogni cosa, mettere sul banco del mercato ogni cosa, come se nulla avesse valore e valesse la pena tenerlo nello scrigno del proprio cuore, senza darlo in pasto a tutti. Che il buon Dio continui a beneficare don Marco delle sue grazie e gli dia la forza di continuare a fare il bene li dove Dio lo ha messo, senza desiderare nulla di più o di diverso da ciò che la Provvidenza ha deciso per lui.

Anonimo ha detto...

Mi spiace, ma questo don Marco non mi convince. Perche' ritiene le dimissioni forzate ingiuste? E perche' chiama reato e non peccato, l'aver abusato sessualmente di non sappiamo quanti bambini affidati alle sue cure? Come ha fatto a trovare "bellissimo" quel suo percorso durato 15 anni, nei quali non ha piu' reiterato l'orribile peccato? Non e' che abbia sottovalutato quello che ha fatto, la bruttezza dell'essere un pedofilo, e quello che satana lo ha istigato a compiere? Non credo si renda conto davvero dell'orrore che ha compiuto e dello strazio patito dai genitori dei piccoli. Ma forse solo chi ha figli riesce a capire.
Dovrebbe meditare ogni giorno su Luca 11, 24-26 nonche' su Matteo 18,6 e dovrebbe tremare all'idea di venire riaccolto tra i sacerdoti di Cristo invece di desiderarlo tanto, sapendo che satana tornerebbe presto da lui, che ora e' così bello ripulito e soddisfatto di se', in compagnia di sette spiriti peggiori di lui...
Grazie al cielo in questa Chiesa "misericordiosa" in sfacelo, una cosa giusta è accaduta, sicuramente per caso: un prete pedofilo e' stato spretato. Deo gratias!

mic ha detto...

Ma guarda quante sentenze senza appello! E con che espressioni....

Anonimo ha detto...

Sono d’accordo con mic quando afferma che molti non recepiscono il senso e lo spirito della testimonianza, come trovo curiosa la posizione di Marius. Da una parte afferma che don Marco dice tante cose giuste e dall’altra che non dovrebbe dirle per il reato che ha commesso. Io penso che Don Marco sollevi un problema molto attuale nella crisi della Chiesa, anzi direi vitale. Trovo molto interessante, per esempio, l’insistenza sulla conversione che porta la Grazia di Dio a rendere migliore la società stessa attraverso le stesse persone convertite. A Luisa faccio pacatamente notare che l’ingiustizia a cui si riferisce don Marco (per quanto mi sembra di aver capito) è stata che la Chiesa stessa gli ha chiesto di continuare a fare un cammino di recupero sacerdotale per poi interromperlo ben 15 anni dopo e nonostante, come viene scritto, testimonianze positive. Ho notato che alcune persone si soffermano esclusivamente sul peccato commesso senza nemmeno una riflessione sul contenuto dell’intervista. Ora, probabilmente sarò uno sbagliato, ma io penso che noi cristiani cattolici dobbiamo andare oltre. Se tutto il nostro ragionare si ferma esclusivamente al male fatto da quella persona che cosa ci differenzia dagli altri? Visto che viene citato nell’articolo, San Paolo prima della conversione era un criminale (non so come chiamare diversamente chi fa uccidere decine o centinaia di persone non per qualche delitto ma solo perché erano cristiane). Quante famiglie ha distrutto? Se ci fermiamo al peccato commesso troviamo tutte ma proprio tutte le ragioni di una condanna senza appello o fare le liste dei crimini più grandi e magari più imperdonabili. Guardate che non sto assolutamente giustificando il peccato di don Marco. Ma mi sembra che la conversione e la Grazia di Dio sono due immense ricchezze che noi cattolici non possiamo banalizzare. Ripeto sarò uno sbagliato ma preferisco pensare che noi abbiamo qualcosa più degli altri, un qualcosa che genera vera speranza. Inoltre, e concludo, fermarsi solo sui peccati commessi mi sembra – visti alcuni interventi – che ci renda solo più cattivi e sinceramente non mi sembra un bel segno cristiano.

Maria Guarini ha detto...

ma non ho nulla da ridire sulla sanzione della Chiesa che protegge le vittime, e sappiamo quanto poco e male lo abbia fatto nel passato.

Non ci sarebbe nulla da ridire se la Chiesa usasse la stessa severità con tutti. Cosa che non è...
E se non fossero state spiegate le ragioni di una creatura di Dio che non pretende ma auspica. E mette in risalto l'obiettiva - e purtroppo diffusa - carenza di mancanza di fiducia nella Redenzione opera della Grazia.

Luisa ha detto...


"è stata che la Chiesa stessa gli ha chiesto di continuare a fare un cammino di recupero sacerdotale per poi interromperlo ben 15 anni dopo e nonostante, come viene scritto, testimonianze positive"

La Chiesa gli ha domandato!?!
Ma spero che non abbia avuto bisogno che la Chiesa glielo domandi!
Il lavoro che ha dovuto fare, lo ha fatto innanzitutto per sè stesso, per capire, per guarire, per domandare perdono a Dio e alle vittime.
Perchè poi l`autorità competente abbia poi deciso di comunque di ridurlo allo stato laicale, questo non lo so.
Sarò dura ma mi sembra che don Marco parli molti di lui, del suo profondo sentimento di ingiustizia, di quello che egli definisce, un" bel cammino umano e sacerdotale", della sua sofferenza per "la distruzione di tutte le sue relazioni umane ", non vedo molte parole sulle vittime, su coloro che stanno molto probabilmente ancora soffrendo per la violenza subita.
Non posso che affidare quel sacerdote alla protezione del Signore affinchè vegli sempre su di lui e lo illumini ma sono personalmente felice se la Chiesa, non perchè, come dice don Marco, è "trascinata da molte paure e dall’opinione pubblica" ma perchè la pedofilia è un crimine atroce troppo spesso coperto da un silenzio altrettanto criminale, assume mesure misure "sempre più draconiane".

irina ha detto...

Da vecchia posso dire che i peccati, ciclicamente, ritornano a galla con il rimorso, non riusciamo a perdonare noi stessi e sembra che mai riusciremo. Un giorno poi il rimorso scompare e scompare anche la tentazione. Le due scomparse forse non sono contemporanee, ma accade che prima una e poi l'altra scompaiano o forse insieme scompaiano. Se siamo abituati a tenerci d'occhio, capiamo che non è nostro merito. Abbiamo sì sempre combattuto, ma abbiamo anche sempre perso. La stessa tentazione è un esercizio per irrobustirci se lo leggiamo dal verso giusto. Come sia sia ad un certo punto rimorso e tentazione scompaiono e non per nostro merito. E' subentrato qualcosa che ci ha portato sul gradino seguente: la Grazia di Dio. La nostra libertà sempre combattente per il bene trova la mano del Signore, la Grazia, che lo toglie dalla prigionia e del rimorso e della tentazione. Sappiamo di non avere nessun merito in questo sollievo, così semplicemente ringraziamo il Signore con la faccia a terra. Capiamo anche chi non scorda e non vuol scordare come eravamo, qualcuno capirà col tempo un po', altri mai ma, non importa, la pace è entrata nella nostra anima. A questo punto faccio mio il commento di Anonimo 17 ottobre 2017 10:22, mettersi a disposizione è il da farsi, per noi tutti peccatori, senza pretendere una comprensione totale che nessuno può darci, perchè nessuno è nei nostri panni, se non noi stessi.Solo forse un sacerdote santo e il Signore. Il Signore basta ed è sempre presente.

ANNA ha detto...

Le vittime, probabilmente, stanno ancora soffrendo è vero, ma può darsi che la conversione molto sincera di questo sacerdote, porti il Signore a consolarle e, chissà, che riescano a loro volta a perdonare. Leggiamo una volta di più Lc. 18,11-12 e poi, prima di giudicare pensiamoci ancora di più.

Rr ha detto...

Gli Americani, cultura protestante, dicono: ”puttana una volta, puttana per sempre”.
Ma noi non siamo protestanti, siamo cattolici.
E chi è senza peccato...

irina ha detto...

Ho riletto tutti i commenti, si lasci purificare dal Buon Dio. Molti commentatori hanno messo in evidenza, più o meno, che la purificazione non è completa: il suo orgoglio ferito sembra bruciare più delle ferite da lei inferte. Umiltà, provi lei a mettersi nei panni degli altri. Forse quello che lei imputa alla Chiesa è la sua stessa mancanza verso gli altri. Dimentichi se stesso e si volga totalmente a Gesù che le viene incontro, le è già venuto incontro.

Anonimo ha detto...

Luisa, io ho parlato di cammino sacerdotale non di quello umano che ho dato per scontato. Da quel che mi sembra di aver capito quando don Marco dice che la Chiesa gli ha chiesto di fare un cammino di recupero mi pare logico che parlasse di un cammino sacerdotale, oltre naturalmente quello umano, e quello solo la Chiesa poteva chiederlo, se no lo mandava via 15 anni fa. Per quanto vale come esempio è un po’ come se nel mio lavoro commettessi un reato e il mio datore di lavoro invece di licenziarmi mi desse una possibilità, previo naturalmente un cammino di cambiamento. Certo che se poi mi licenziasse 15 anni dopo non perché ho ripetuto il reato ma semplicemente perché il mio datore si è ricordato del reato di 15 anni prima di cui lui stesso non mi aveva punito forse anche a me girerebbero un po’ le scatole, anche perché 15 anni non sono pochi. Mi pare quindi anche comprensibile lo stato d’animo di don Marco. Detto questo però io rimango convinto che don Marco abbia sollevato una tematica che per noi cattolici è vitale. Io personalmente non amo soffermarmi solo sul peccato commesso non perché sia insensibile verso le vittime, ma semplicemente perché il soffermarsi solo sul peccato oltre a non essere , secondo me, una visione cristiana, lascia solo spazio ad unico sentimento: la condanna senza appello. E dico questo perché sono rimasto meravigliato da tante vere conversioni anche da peccati che definire orrendi è dir poco. Ripeto, sarò sbagliato, ma la conversione e la potenza di Dio mi affascinano molto di più del sezionamento di un peccato commesso e penso che una visione soprannaturale, per usare un'espressione di don Marco, possa aiutare anche noi a rimanere maggiormente nella carità.

Anonimo ha detto...


Pedofilia, come reato, andrebbe chiarito. In generale, sembra applicarsi a chiunque abbia rapporti sessuali con minori di anni 18 (o 17). Ora, nel caso di una ragazza di anni 17 ben sviluppata, come si suol dire, non si può certo dire che sia una "bambina". Nel sentire comune, i "bambini" sono tali sino ai 10-11 anni circa. Ma già attorno ai 15 o prima sono chiamati ragazzi, ragazze. Spesso non si precisa nei media il sesso della vittima del pedofilo né l'età, per non dover dire che la maggioranza dei casi di pedofilia è in realtà di casi di pederastia, coinvolgenti quindi l'omosessualità. Far capire questo al pubblico è proibito, nel modo più assoluto. E sappiamo perché. Comunque, la pederastia, per quanto grave, è meno grave della pedofilia nel senso proprio del termine.
La Gerarchia cattolica attuale, nello stringere i freni, sembra applicare gli stessi criteri. Enfasi sulla pedofilia, senza distinguere tra quella omo ed etero, silenzio assoluto sulla pederastia e quindi sull'omosessualità; silenzio sul libertinaggio, chiamiamolo così (per i preti che insidino non le bambine ma le giovanette). Tutto viene messo nel calderone della "pedofilia".
Per quanto terribili siano stati in passato i peccati (espiati) di Don Marco, dobbiamo ricordarci che Gesù ha detto: "Perciò io vi dico: ogni peccato ed ogni bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata" (12, 31).
E, se si tratta di peccato contro natura, chi si pente sinceramente Dio lo perdona anche per questo odioso peccato, su questo non ci piove (vedi anche 1 Cr 6, 11). Del resto, nei catechismi di una volta i peccati che gridavano vendetta di fronte a Dio erano quattro non uno solo: Omicidio volontario; peccato impuro contro natura; oppressione del povero; frode nella mercede agli operai.
La dichiarazione di Papa Francesco, di non concedere la grazia cioè il perdono è giusta nei confronti del sacerdote che non si sia veramente pentito, a giudizio del Papa.
Ma non nei confronti di colui che si è pentito e ha espiato la sua colpa: rivela un atteggiamento che appare in contraddizione con lo spirito ma anche con la lettera del Vangelo, e invece succube della "giustizia" di questo Secolo, che tuona contro la pedofilia e poi non solo tollera ma promuove "gli stili di vita" che la alimentano.
Del resto, il diniego di perdono enunciato dal Papa dovrebbe valere anche per un fedele laico, che si fosse sinceramente pentito degli stessi peccati. Perché solo per il sacerdote? Si stabilirebbe allora una categoria di peccati per la quale a priori, laici o ecclesiastici, non si può essere assolti e si è dunque dannati. Ma questo non sarebbe affatto cristianesimo. Z.

Anonimo ha detto...

Caro don Marco,
lei ha centrato uno dei punti più importanti della crisi nella Chiesa, il più importante: la perdita della prospettiva soprannaturale, cioè della fede.

La “fede” professata e vissuta è ormai nell’uomo, per questo si ragiona come gli uomini. Si crede che l’uomo possa, con sforzo, e fino a un certo punto, migliorarsi, come sta scritto nei manuali di psicologia e psichiatria. Non si crede più che ci si possa convertire interamente. Non si crede più che un grande peccatore possa diventare un santo. Accogliendo la grazia e lavorando con essa. Non ci si crede, come non si crede più nei miracoli. Non si crede più nel “Dio cattolico”.

Non si nutre più la speranza, virtù teologale. Non si recita più l’atto di speranza: “mio Dio, io spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, la vita eterna e le grazie necessaria per meritarla con le buone opere che io debbo e voglio fare”. Non si ha nemmeno vera misericordia.

Il suo peccato è gravissimo e ripugnante. Ma il Signore guarisce anche i lebbrosi e rende santi anche i grandi peccatori, di cui è costellata la Chiesa. Il Signore cerca i grandi peccatori, fino all’ultimo istante, come fece anche con Giuda, quello che commise il peccato più ripugnante e più grave in assoluto (e che pure viene ora “santificato”, nonostante non abbia mai chiesto perdono a Dio).
Io non leggo nelle sue parole risentimento per l’ingiustizia e la mancanza di pietà che lei ritiene di avere subito. Leggo invece preoccupazione per l’amata Chiesa che, come dice lei, sembra avere perso la prospettiva soprannaturale, cioè il suo Sposo, la ragione della sua stessa esistenza.
Sembra aver perso anche la carità e anche la giustizia. Nel suo caso, mi sembra di avere capito, nessuno si è preoccupato di aiutarla a tornare in grazia di Dio, di aiutarla a sostenere la croce del tormento per il male fatto, della vergogna, dell’abbandono di tutti. Mi sembra di avere capito che nemmeno le regole basilari del diritto siano state osservate. Se fosse veramente così sarebbe grave.
Io credo che in questo momento ci siano peccati sdoganati, che vengono minimizzati (aborto, sodomia), incoraggiati e addirittura (v. AL) considerati “comandati” da Dio (adulterio). Altri che invece sono considerati “imperdonabili” (quello che lei ha commesso, e, a dire del papa, ce ne sono altri, come la “mafiosità”, la corruzione e l’inquinamento ambientale grave e la non accoglienza degli immigrati).
Nel passato l’adulterio era (giustamente) considerato gravissimo e meritava (non più giustamente, dopo Gesù) la lapidazione. Gesù però concesse di lanciare la pietra solo a chi non avesse peccato. E disse all’adultera di non peccare più. Lei quel peccato non lo ha commesso più. Lei ha accolto la grazia della conversione. Io ho commesso peccati. Commetto peccati. E non alzo la mano per colpirla. C’è più gioia in cielo per un peccatore che si pente, che per tanti giusti …

Sento forte il suo dolore, don Marco, che ritengo lei offra al Signore. E, di più, il suo amore per la Chiesa. Non è niente di che, ma se volesse, può mettersi in contatto con me. Maria può darle la mia e-mail.

Anna

mic ha detto...

Grazie Anna,
vedo che hai 'sentito', compreso ed espresso esattamente il senso e spirito di cui parlavo.

Anonimo ha detto...

La messe e' molta e gli operai sono pochi .
Per questo ho sentito la necessita' nel pomeriggio di andare a pregare per questo Sacerdote nella Basilica dedicata al Sacro Cuore di Gesu' a Castro Pretorio . Sotto lo sguardo di Maria Ausiliatrice , di S.Giuseppe , di Don Bosco e davanti al Tabernacolo ho pregato per questo Sacerdote il Santo Rosario , ho inteso affidarlo al Sacro Cuore di Gesu' in una S.Messa che verra' celebrata per lui il giorno 21 Ottobre alle ore 9:00 a.m. . Chi puo' eserciti la carita' verso tutti i protagonisti di questo dramma con una preghiera nello stesso giorno alla stessa ora .

marius ha detto...

Marius,
Ferma restando l'esattezza di quanto dici, trovo molto duro il tuo intervento. Credo che conoscere la persona faccia la differenza. E non è questione di 'casuistica", ma di capacità di ascolto.
17 ottobre 2017 15:50


Certo Mic, è duro. Tuttavia -l'avrai notato- ho scelto un registro di comunicazione specifico: non ho calato dall'esterno un giudizio sulla persona, e non mi sono neppure rivolto direttamente alla persona dandole consigli (e d'altronde come potrei? manco la conosco !) ma mi sono limitato a dire sommariamente cosa io farei se fossi stato io un prete pedofilo.
Da una parte duro perché molto sintetico, ma duro anche volutamente.
Perché?
Io non sono un confessore dietro la grata che impartisce l'assoluzione elargendo il perdono sacramentale ad una persona sinceramente pentita che, nel segreto e nella massima riservatezza del confessionale, accusa con gran vergogna ed umiltà il male da lei commesso.
Io sono soltanto un blogger che reagisce pubblicamente ad un pubblico intervento di un prete che mette in mostra sulla pubblica piazza la sua fosca vicenda personale e, adducendo un magnifico cammino di conversione a cui tutti noi sulla sua parola dovremmo dar credito, reclama apertamente una considerazione per il suo caso adducendo argomenti teologicamente inoppugnabili.

Certo, Mic, conoscere la persona fa la differenza. Io non la conosco e ciò in un certo senso, a seconda dei punti di vista, mi avvantaggia o mi svantaggia. La tua posizione invece non è affatto comoda. Non so come io a caldo riuscirei a reagire in questo triste caso che è toccato a te. Ma a distanza e a freddo, cosa ovviamente molto molto più facilitante, credo che la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata quella di far tutto il possibile per dissuaderlo a pubblicare un libro autobiografico. Vuole assolutamente scrivere? Faccia un diario.
Sono forse contro la libertà di espressione? No, ci mancherebbe (ne sto usufruendo qui io stesso), ma, anche se siamo nell'epoca della comunicazione globalizzata, ci sono cose strettamente personali che non possono essere date in pasto a tutti in modo indistinto come accade appunto nei mass-media. Neppure rubricandole come testimonianza. C'è un sano pudore nelle cose intimamente e autenticamente spirituali che impedisce il soggetto a divulgarle. Cosa penserebbero poi le povere vittime, confuse in mezzo a questa massa, alla lettura di questa intervista strappalacrime?

C'è stato vero pentimento? Che ne so io? Non posso dire di no ma neppure di sì. Non tocca certo a me stabilirlo. E neppure lo voglio fare. Eppure sono stato messo mio malgrado nelle condizioni di dare un mio parere. Mi si dirà: non sul pentimento. Certo, quello devo darlo per scontato, ma ripeto, non mi concerne.
Sennonché tutte le volte che mi imbatto in un'umiltà sbandierata o in un pentimento ostentato inevitabilmente mi prende un sottile sospetto.
E tu Mic non sei solo una buona signora con grande e generoso spirito materno, ma sei pure la proprietaria di un blog che offre una enorme visibilità. Non so se mi spiego.

Dice anonimo 17 ottobre 2017 18:4:
Sono d’accordo con mic quando afferma che molti non recepiscono il senso e lo spirito della testimonianza, come trovo curiosa la posizione di Marius. Da una parte afferma che don Marco dice tante cose giuste e dall’altra che non dovrebbe dirle per il reato che ha commesso.
Anonimo non capisce? Un conto è DIRE tante cose giuste (quelle sulla grazia santificante, sulla giustificazione, la denuncia sulla nota situazione della Chiesa riguardo al degrado della situazione dottrinale, ecc..., altro conto è l'ATTEGGIAMENTO DI FONDO che qui traspare in foro esterno che altri commentatori hanno rilevato e che anch'io spero di essere riuscito a delineare.

Sono cosciente che per questo mio dire potrei essere giudicato un insensibile, un giudice implacabile, un cinico, un sentenziatore senza appello: che volete? per assolvere lui magari sarò io ad essere condannato...




Epiphanio ha detto...

Magistrale, Marius.
Sì, le cose autenticamente spirituali non bisogna metterle sul mercato. Forse qualcuno ne parlerà una volta, ma non è da tutti scrivere "Le Confessioni", come quelle del santo di Ippona.

Vi ricordate? ha detto...

LE MURA ADESSO PARLANO
Al tempo in cui era “direttrice di clinica” l’Autrice, come abbiamo visto nella puntata precedente, è stata infastidita dai pro-life militanti. L’FBI addestrava lei e tutto il personale su come comportarsi in caso di attentati a loro danno e situazioni simili mentre la National Abortion Federation (c’è anche questo!) mandava ogni settimana circolari intitolate “Punti caldi”, contenente informazioni su pericoli vari e sull’attività dei contestatori fuori delle cliniche. Alcune di queste informazioni erano fondate, altre no (pp. 143-4). Le minacce, sia vere che immaginarie, servivano unicamente a rafforzare l’impegno, conferendo una sorta orgoglio per la causa. SCRIVE: “Un ben noto abortista ucciso da un Pro-life diventò per noi una specie di santo”. Nemmeno sei minacce di morte la distolsero da quella che sembrava diventare sempre più una sorta di missione. Una minaccia le giunse a casa, nominando marito e figlia; un’altra proclamava che per sua figlia sarebbe stato meglio esser orfana che avere una madre come lei. Scrive anche “Se c’è una cosa che vorrei far capire allo schieramento pro-life sulla psicologia di coloro che si battono con accanimento per l’aborto, è questa: sentivamo l’aborto come un problema di diritti civili. Eravamo convinti di combattere una battaglia simile a quella combattuta per dare alle donne il diritto al voto. Eravamo disposti a sacrificarci al massimo, ad un livello che sfortunatamente ho riscontrato ben di rado nel movimento pro-life”(pp. 144-5).

Vi ricordate? ha detto...

.Nelle ultimissime pagine del libro (Final Thoughts from Abby, pp. 151-155) l’Autrice ci offre delle spirituali considerazioni, impressionanti per la loro sincerità, che mostrano la sua grande fede nella divina Misericordia, nella necessità del pentimento e della conversione, nel valore del perdono per il peccatore pentito. È Cristo che mi ha cambiato, ribadisce accoratamente la Johnson, grazie anche alle parole misericordiose e compassionevoli di Pro-life che ragionavano in modo diverso da quelli che non sanno far altro che lanciare anatemi. Quando ella abbandonò Planned Parenthood e i suoi favolosi stipendi, fu accolta amorevolmente da loro, con vero spirito di carità cristiana: “sapevano che ero a pezzi e mi amarono così com’ero”. Quando un giornalista intervistò una di loro, chiedendo: “Allora, com’era Abby prima di diventare pro-life? Voglio dire, quanto cattiva era ?”, ottenne questa risposta veramente cristiana: “Non ricordo com’era. Ora è rinata in Cristo. Non parlerò del suo passato, piuttosto del suo futuro” .

Luisa ha detto...



"L’idea del libro nasce dopo le mie dimissioni forzate dallo stato clericale, dimissioni che io ritengo profondamente ingiuste. Ѐ stata questa grande sofferenza, questo profondo senso di ingiustizia a convincermi a mettere per iscritto questa mia esperienza di “anima dannata”"

La motivazione per la quale don Marco ha scritto il libro è chiara: si sente VITTIMA di una decisione ingiusta della Chiesa ma lo scopo di quel percorso non poteva e doveva essere quello di essere reintegrato nella Chiesa e continuare ad essere sacerdote magari anche a contatto di bambini, quel cammino lo ha fatto innanzitutto per sè stesso, per capire e guarire e chiedere perdono, per domandare la continua assistenza e protezione del Signore, per accettare tutte le conseguenze dei suoi atti.
Se proprio voleva mettere per iscritto il suo cammino e pubblicarlo, la motivazione non doveva essere quella di "fare la lezione" alla Chiesa ma quella di dire tutta la sua sofferenza per aver causato così tanto male a dei bimbi innocenti, per dire tutto il suo disgusto per gli atti commessi, per chiedere perdono alle VERE e sole vittime e, con umiltà sofferta, testimoniare della Grazia che dice aver ricevuto.

Non tutti gli omosessuali sono pedofili o ebofili ma nella Chiesa quasi tutti coloro che si rendono colpevoli di quel crimine atroce lo sono.
La sanzione per il crimine di pedofila o ebofilia deve essere una e la stessa per tutti, la Chiesa non può PIÙ fare come nel passato, tacere, coprire, spostare, la tolleranza zero è stata introdotta ed era ora, la sanzione non può essere "à la carte", l`autorità non può basarsi sulla parola del colpevole che dice essere guarito.
Dire questo non è essere insensibile, duro, implacabile e magari anche non cristiano, è pensare innanzitutto alle vittime e alla loro protezione.

mic ha detto...

Quello che non volete capire è che don Marco non ha scritto le sue confessioni (Epiphanio) ma è sobrio ed essenziale. Neppure ha scritto per rivendicare la ingiustizia subita (marius) e nemmeno per dare lezioni alla Chiesa (Luisa) ma ha estratto dal suo caso emblematico degli elementi che, oltre ad essere causa della sua sofferenza (vissuta con grande consapevolezza e profondo abbandono), rivelano un serio accantonamento, nella Chiesa, dell'azione della Grazia e del soprannaturale. Una Chiesa più luterana che santificatrice. Non lo fa per dare lezioni o rivendicare nulla, ma lo fa da pastore ché tale è stato per 15 anni, e tale è ancora.
Prima di continuare a sezionare le sue parole nell'ottica di un giudizio inesorabilmente negativo vi invito caldamente a rileggere l'intervento di Anna.

Luisa ha detto...

Maria, chi non condivide il tuo sentire e il tuo pensiero non per questo non ha capito, semplicemente "capisce" altrimenti, se le parole hanno ancora un senso è don Marco stesso ad aver dato le ragioni che lo hanno spinto a scrivere, mi limito a riportare il commento di irina in cui mi ritrovo, in poche righe ha detto l`essenziale, a mio avviso:

" Ho riletto tutti i commenti, si lasci purificare dal Buon Dio. Molti commentatori hanno messo in evidenza, più o meno, che la purificazione non è completa: il suo orgoglio ferito sembra bruciare più delle ferite da lei inferte. Umiltà, provi lei a mettersi nei panni degli altri. Forse quello che lei imputa alla Chiesa è la sua stessa mancanza verso gli altri. Dimentichi se stesso e si volga totalmente a Gesù che le viene incontro, le è già venuto incontro."

irina ha detto...

Considerazioni generali o quasi.
1- dietro ogni nostro peccato c'è un nostro delirio, piccolo o grande, di onnipotenza;
2- ogni peccato porta con sè la sua pena e per tutti la pena è l'inaridimento dell'anima, distruzione di se stessi;
3- ogni anima la conosce realmente solo Dio, neanche chi la possiede la conosce pienamente;
4- Dio conosce, osserva, valuta l'anima, la parte spirituale, di ognuno, i suoi progressi ed i suoi regressi;
5- tutti i nostri peccati, non solo sono autodistruttivi ma anche distruggono poco o tanto l'ambiente spirituale intorno;
6- la riparazione, di cui spesso parliamo, non riguarda solo l'anima del peccatore in senso stretto, ma anche chi, più o meno, ha subito gli effetti del peccato altrui direttamente o anche molto indirettamente;
7- caratteristica del male è distruggere, è incapacità a costruire, chi compie il male distrugge prima di tutti se stesso;
8- chi pecca con altri lacera se stesso e l'anima altrui;
9-accanto a questi fatti disperanti c'è la Grazia di Dio che provvede in ogni dove, rialza, ripara, asciuga lacrime, conforta, cura, educa attraverso anni ed anni;
10- nelle vite dei Santi vediamo che le prove non mancano mai, non mancano le vessazioni demoniache, tutto i santi hanno sopportato senza mormorare;
11- ogni anima è diversa da tutte le altre, Dio solo la conosce in tutte le sue pieghe, nelle sue cime e nei suoi abissi, la giustizia a cui aneliamo ci viene solo da Dio,giustizia che spesso comprendiamo solo a ritroso;
12- Non so assolutamente nulla della storia di Don Marco, da quello che ha scritto Anna, suppongo, ora, che sia forse una storia tipo Eloisa ed Abelardo.Storia che andrebbe studiata attentamente, consiglio il libro di Etienne Gilson. L'aspetto interessantissimo di questa storia, che dista un centinaio di anni o poco più dalla vita di Dante Alighieri è che, con Abelardo e Dante, abbiamo due medaglioni di quello che i sentimenti umani possono distruggere o costruire sia che percorrano una via piuttosto che quella giusta.
13- Scusate la parentesi. La Chiesa che sempre si è trovata a districarsi nelle vicende umane trovo strano che non abbia messo a punto una regola base da applicare
nelle grandi trappole diaboliche, che sono sempre quelle, cioè si ripetono ad ogni generazione. Che poi nel tempo una pratica passi di mano in mano e venga giudicata dall'ultimo arrivato con l'estro del momento è veramente assurdo. Che poi , e questo non lo si vuol nè capire nè accettare, quello che fa la Chiesa viene ripetuto in ogni dove anche fuori. La Chiesa infatti insegna a tutti anche se non insegna.
14- Il libro di Don Marco è, a parer mio, inspiegabile. Di spiegazioni ne ho trovate ma, nessuna da riportare.
15- Non ho riletto l'intervista ma, fino al momento in cui una persona non trova le sue parole per raccontare e raccontarsi usa il linguaggio del mondo cioè non è ancor giunto fuor del pelago alla riva.
16- Concludo ribadendo che nessuno si rifa una vita, la vita di ognuno di noi è segnata dai nostri pensieri, parole opere ed omissioni ma la Grazia di Dioscrive sempre dritto sulle nostre righe storte.
Questo processo ecclesiale è così diventato globale, solo il futuro dirà se è stato un bene o se tacer era giusto.

marius ha detto...

Luisa,
sono d'accordissimo su "se le parole hanno ancora un senso è don Marco stesso ad aver dato le ragioni che lo hanno spinto a scrivere". il testo è abbastanza chiaro, anche nella frase da te citata: certo che tutto dipende dal colore delle lenti con cui vengono lette.
Capisco Irina e concordo, ma con una riserva nel rigore sul modo di esprimersi. Io sarei il più possibile attinente a quello che ci viene sottoposto alla lettura (in ciò dobbiamo forzatamente limitarci all'articolo proposto, del libro non ne sappiamo nulla, possiamo solo intuirne uno sviluppo nella linea dell'articolo), senza lasciarsi minimamente tentare nell'addentrarci nella vicenda spirituale del soggetto, che non è compito nostro.
Lo sbaglio che si può far qui è di dimenticarci di essere degli osservatori esterni e di lasciarsi coinvolgere in una dinamica che non ci compete.
Infastidisce poi questo riandare alla fede di sempre quasi che con quella il soggetto avrebbe potuto ricevere maggiore giustizia e comprensione dalla Chiesa. Mi suona come un voler accattivarsi il mondo tradizionalista per godere di un occhio di riguardo sulla sua causa. Così viene svalutata una delle uniche cose buone della Chiesa postconciliare, opera -non dimentichiamolo- di Benedetto XVI e non dell'attuale Pontefice che ha trovato solo la pappa fatta ma vantandone falsamente la paternità.

Anonimo ha detto...

Marius quel che scrivi mi conferma nella mia posizione. Don Marco parla di “tante cose giuste” (che brutta espressione per definire la bellezza della Grazia e della conversione) non in sé per parlare in astratto di argomenti teologici ma perché Grazia e pentimento sono stati per lui fondamentali per il suo cambiamento. La sua esperienza di Grazia parte proprio dal suo orrendo peccato. Dividerli non ha senso. Il problema è il presupposto. Tu, come altri in questo blog, ti soffermi sul peccato e quindi la condanna è inevitabile e la conversione, se non impossibile, almeno sicuramente sospetta. Io, a differenza di te non vedo questa “umiltà sbandierata e questo pentimento ostentato” ma semplicemente una seria riflessione sulla Grazia e sulla conversione scaturita dalla sua brutta storia. Anna ha ragione da vendere a dire che anche noi cristiani ragioniamo come tutti gli uomini (dopotutto siamo figli del nostro tempo) e non crediamo che l’uomo possa convertirsi interamente, anzi dirò di più. Anche noi cristiani siamo disturbati da una vera conversione perché ci mette di fronte a qualcosa che ci sfugge, che non sembra far parte della nostra esperienza umana, che ci toglie alcune nostre certezze matematiche, che ci fa fare a pugni con alcune nostre convinzioni radicate, perché sotto sotto non potremo mai credere che un mostro possa diventare un santo, sembra ripugnante solo pensarlo. Personalmente insistere solo sul peccato la trovo una visione molto riduttiva e di scarsa fede. Poi, io non so e non mi interessa dell’opportunità o meno del libro. Certo è che questa intervista ci mette tutti nudi di fronte a uno dei più grandi e bei misteri della fede: la Grazia di Dio. Cercare di comprendere meglio questo dono, sospendendo magari qualche giudizio troppo tranchant penso possa solo aiutarci magari anche, come dice giustamente Anna, a non perdere del tutto un minimo di carità e di giustizia.

mic ha detto...

Cara Luisa 10:01

Nel commento che hai fatto tuo avevo visto, dietro a un buon consiglio, pur giusto e valido in linea di principio, molta sufficienza e pressappochismo che denotano poca carità. Non per altro; ma un invito del genere lo può fare solo un padre spirituale che conosce l'anima a cui è rivolto e la sua situazione. Ad alcuni a volte servono le sferzate, ad altri e altre volte serve ascolto e incoraggiamento.
La conclusione è che quello che ognuno di noi capisce "diversamente", rispecchia noi stessi e le divergenze riguardano proprio ciò che ci differenzia nel carattere, negli atteggiamenti, in un certo 'sentire'. Sui principi siamo d'accordo, perché non è in discussione né la gravità nel peccato né la necessità comunque dell'espiazione. Comunque nella discussione sono emersi molti punti di vista e molte riflessioni, anche insieme a processi alle intenzioni che, in ogni caso saranno utili a don Marco, per approfondire e farsi delle domande perché il suo cammino, come il nostro, non finisce qui.

irina ha detto...

Non mormoro.

Luisa ha detto...

"Cara Luisa....molta sufficienza e pressappochismo che denotano poca carità."

!?!

Nel mio commento delle 10:01 ho riportato un commento di irina che sottoscrivo in toto.

marius ha detto...

@ Luisa
Mi sono accorto solo dopo aver pubblicato il mio commento delle 11.13 che ve n'era uno di Irina delle 10.45, che condivido in pieno sia nella forma che nel contenuto. Siccome il mio segue cronologicamente quest'ultimo di Irina, potrebbe sembrare che la riserva di cui ti parlavo si riferisse ad esso, mentre in realtà si riferiva al frammento di Irina da te citato alle 10.01.
(Capitano questi disguidi a causa dello scarto di tempo dovuti alla moderazione rispetto a coloro che intervengono in modo diretto)

marius ha detto...

@ anonimo 10.41

Marius quel che scrivi mi conferma nella mia posizione.
Penso che qualsiasi cosa io possa scrivere che non segua il canovaccio del thread La confermerà sempre nella Sua posizione.

Don Marco parla di “tante cose giuste” (che brutta espressione per definire la bellezza della Grazia e della conversione)
Brutta o bella non importa: resta il fatto che io non ho sposato e continuo non sposare la causa "della bellezza della Grazia e della conversione" in questa fattispecie, per i motivi già abbondantemente spiegati sopra. E questo non ha niente a che vedere con una mia presunta mancanza di misericordia.

non in sé per parlare in astratto di argomenti teologici ma perché Grazia e pentimento sono stati per lui fondamentali per il suo cambiamento. La sua esperienza di Grazia parte proprio dal suo orrendo peccato. Dividerli non ha senso. Il problema è il presupposto.
Non so. Magari Lei è il suo confessore e quindi può azzardare queste affermazioni. Ma un confessore non lo farebbe mai. Cautela! Solo all'Onnipotente competono certi giudizi, sia nella condanna che nella beatificazione.

Tu, come altri in questo blog, ti soffermi sul peccato e quindi la condanna è inevitabile e la conversione, se non impossibile, almeno sicuramente sospetta. Io, a differenza di te non vedo questa “umiltà sbandierata e questo pentimento ostentato” ma semplicemente una seria riflessione sulla Grazia e sulla conversione scaturita dalla sua brutta storia.
Ho capito che "soffermarsi sul peccato" è diventato il leitmotiv ritenuto efficace per mettere a tacere chi non sposa questa causa. Ma io in realtà non mi sono "soffermato sul peccato": ho piuttosto osservato la situazione nel suo insieme.

(segue)

marius ha detto...

(seguito)

Anna ha ragione da vendere a dire che anche noi cristiani ragioniamo come tutti gli uomini (dopotutto siamo figli del nostro tempo) e non crediamo che l’uomo possa convertirsi interamente, anzi dirò di più. Anche noi cristiani siamo disturbati da una vera conversione perché ci mette di fronte a qualcosa che ci sfugge, che non sembra far parte della nostra esperienza umana, che ci toglie alcune nostre certezze matematiche, che ci fa fare a pugni con alcune nostre convinzioni radicate, perché sotto sotto non potremo mai credere che un mostro possa diventare un santo, sembra ripugnante solo pensarlo. Personalmente insistere solo sul peccato la trovo una visione molto riduttiva e di scarsa fede.
Qui emerge che Anna ha "ragione da vendere" evidentemente solo perché ha sposato questa causa, non per altro. In linea generale sono d'accordo con il pensiero di Anna, ma non la seguo nell'applicazione al presente caso pratico per i motivi su cui non mi ripeto.
"Scarsa fede"? è in grado di giudicare anche questa?

Poi, io non so e non mi interessa dell’opportunità o meno del libro.
Beh qui, Anonimo, proprio è incomprensibile!!! Dopo tutto questo Suo panegirico dice che non Le interessa dell'opportunità del libro? È esattamente questo il senso (o almeno dovrebbe esserlo) di questa nostra riflessione!!!
Quando nel mondo amministrativo bisogna prendere una decisione si vota dapprima l'entrata in materia. La differenza tra noi due è proprio qui: Lei è entrato in tromba nell'oggetto mentre io ho frenato la procedura. Discutere l'entrata in materia potrebbe sì presupporre un rifiuto verso l'oggetto, ma anche altro, cioè p.es. l'opportunità o meno di trattare la questione in una modalità o in un contesto piuttosto che in un altro.

Certo è che questa intervista ci mette tutti nudi di fronte a uno dei più grandi e bei misteri della fede: la Grazia di Dio. Cercare di comprendere meglio questo dono, sospendendo magari qualche giudizio troppo tranchant penso possa solo aiutarci magari anche, come dice giustamente Anna, a non perdere del tutto un minimo di carità e di giustizia.
"...a non perdere del tutto un minimo di carità e di giustizia". Come volevasi dimostrare!!!
Come se ora noi fossimo tutti moralmente obbligati a dare il "pollice verso" per non finire considerati come cinici privi di misericordia, tranchants, cristiani gelidi e farisaici.

Luisa ha detto...

Dal punto di vista penale don Marco ha scontato la sua pena che mi sembra sia stata abbastanza conseguente, dal punto di vista del male fatto a quei giovani difficilmente può esserci una "prescrizione", anche se spero che la riconoscenza del torto subito e della loro totale innocenza, unite alla domanda di perdono che spero il sacerdote abbia fatto, possa averli liberati di quel sentimento di colpevolezza che molte delle vittime di quelle aggressioni odiose trascinano durante anni e anni di vita, anche per questo mi sembra che la discrezione doveva essere la via più giusta, anche se la punizione della Chiesa è arrivata quando forse non la si aspettava.
Effettivamente non capisco, e "tant pis" se dicendo questo sarò considerata senza carità, perchè la Chiesa ha aspettato 15 anni per sanzionare a sua volta il sacerdote, ridurre don Marco allo stato laicale è una sanzione durissima, la più dura, come ebbe da dire don di Noto : "Chi si macchia di questi reati non può fare il prete" , anche lui manca di carità?

mic ha detto...

Come se ora noi fossimo tutti moralmente obbligati a dare il "pollice verso" per non finire considerati come cinici privi di misericordia, tranchants, cristiani gelidi e farisaici.

Nessuno di noi è moralmente obbligato a nulla (non eravamo chiamati a giudicare: quindi pollice né verso né recto), ma a esaminare un caso emblematico e i suoi risvolti ecclesiali e umani.
E' stato comunque interessante vedere i diversi tipi di reazione di fronte ad un caso concreto e non soltanto teorico.

mic ha detto...

Effettivamente non capisco, e "tant pis" se dicendo questo sarò considerata senza carità, perchè la Chiesa ha aspettato 15 anni per sanzionare a sua volta il sacerdote, ridurre don Marco allo stato laicale è una sanzione durissima, la più dura, come ebbe da dire don di Noto : "Chi si macchia di questi reati non può fare il prete" , anche lui manca di carità?

La Chiesa, nei confronti di don Marco si è comportata in maniera esemplare all'inizio e in maniera non coerente alla fine.
Dico questo perché, a differenza dei purtroppo numerosi casi in cui il sacerdote che si macchia di tale crimine viene semplicemente trasferito senza nessun provvedimento nei suoi confronti con grave rischio per le potenziali vittime (tralascio i casi in cui sono stati assegnati compiti curiali di tutto rilievo), don Marco è stato inserito in un serio cammino di recupero durato anni e poi gli sono stati affidati incarichi pastorali che confermano, con testimonianze unanimi, la serietà della sua conversione e della sua redenzione.
In fondo, con la decisione iniziale evidentemente non si è dimenticato che il Signore ha dato la sua vita sulla Croce per i peccatori pentiti e, nella persona, in questo caso c'è stata tutta la consapevolezza, la buona volontà, la preghiera, l'ascesi, che oggi hanno fatto del peccatore un altro uomo in virtù della grazia.
Dunque il dilemma sta nel fatto che, se è giusto e sacrosanto sospendere a divinis un colpevole, non è altrettanto giusto e sacrosanto farlo con un peccatore redento (e mi pare che sia la giusta severità che l'attenzione al recupero siano state oggetto di provvedimenti di Benedetto XVI). Ecco perché si è parlato della contraddizione di escludere in assoluto la possibilità di recupero; il che significa negare l'azione della Grazia...

Anonimo ha detto...

Wow Marius, Lei riesce addirittura a citarmi tutto. Troppa grazia (tanto per rimanere in tema :)). A parte gli scherzi, mi sembra che, se su questo tema la pensiamo in modo completamente opposto, sia piuttosto banale affermare che io confermerò sempre la mia posizione. E’ ovvio no? Se non siamo d’accordo! Esattamente come lei confermerà sempre la sua. La Sua affermazione su Anna mi pare invece piuttosto puerile. Se Anna ha fatto un’affermazione che io condivido al 100% e la prendo per poi svilupparla secondo ciò che penso non vedo nulla di male. Se non sbaglio anche Lei cita Luisa e Irina condividendone le posizioni. Da che mondo e mondo uno cita le affermazioni di qualcun altro a sostegno della propria tesi e non contro. Che poi non mi segua nelle applicazioni al presente caso pratico non mi stupisce visto che Lei esclude a priori in questa fattispecie l’intervento della Grazia e la realtà della conversione. E a proposito cosa centrano il confessore, i giudizi, la condanna, la beatificazione quando dico che l’esperienza di Grazia di don Marco parte dal suo orrendo peccato? Semplicemente io credo a ciò che dice don Marco, non perché sono il suo confessore, come Lei ironizza, ma perché a differenza di Lei io credo che nella fattispecie la Grazia abbia agito e la conversione sia vera. Questo non è giudizio ma fede nella potenza di Dio. Sono convinto che Dio non escluda nessun grande peccatore dalla Sua Grazia, nemmeno in fattispecie. Tutto qui. Lei non crede in fattispecie nell’intervento della Grazia e nella realtà della conversione, io si! Come ho detto due presupposti diversi. Per il resto ribadisco, visto alcuni giudizi molto duri sulla persona e addirittura sulle intenzioni che una maggiore visione soprannaturale, possa aiutare anche noi a rimanere nella carità. Detto questo mi ritiro dall’arena. Tanto caro Marius Lei rimarrà incrollabilmente fermo nelle sue posizioni e io nelle mie e continuare il ping pong porterebbe qualcuno a dire come la Mondaini, “che barba, che noia”. Ormai, le nostre inconciliabili posizioni sono ben note. Come diceva qualcuno più famoso di noi “ai posteri l’ardua sentenza”. Buona serata!!!

Alfonso ha detto...

Bastano due "italiani" per fare tre partiti!
Cosa faresti a chi commettesse violenza o anche solo la minacciasse ad un tuo figlio? A questa domanda, la mia anima irascibile ha sempre risposto: mors sua, vita mea! E credo che a caldo non esiterei a commettere anche azioni estreme. Ma se dovesse presentarsi una situazione come quella descritta dal Manzoni, la tua anima razionale e la pietà cristiana se ne starebbero in silenzio? Non ho la risposta! Potrei anche perdonare, ma non lo garantisco.
"Il padre guardiano si reca dal fratello dell'ucciso e gli comunica la decisione di Lodovico di farsi frate per iniziare una vita di espiazione e penitenza. Dunque, Lodovico ad appena trent'anni diventa frate e assume il nome di Cristoforo. Prima di lasciare la città, fra Cristoforo si reca dal fratello dell'ucciso ed in ginocchio ai suoi piedi gli implora con voce sincera e con contrizione perdono, ottenendolo."

Anonimo ha detto...

Gesu' e' nel Getsemani fino alla fine del mondo .
Anche il mio peccato era presente in quel calice spaventoso. «Quelle gocce di sangue, le ho versate per te», sono le parole che Pascal sente rivolte a sé dal Signore in agonia sul Monte degli ulivi (cfr Pensées, VII 553).

Sento di dare a Don Marco questo suggerimento relativo al libro : non lo dia alle stampe , ne parli con Don Ermes Macchioni , un Prete esorcista di Fontana di Rubiera . Prenda un appuntamento , a lui apra il suo cuore , le dara' consolazione e suggerimenti e sicuramente un aiuto . Vada all'appuntamento come ad un pellegrinaggio , a piedi , come farebbe San Luigi Maria Grignion de Montfort , portando con se' l'essenziale e il libro che vorrebbe dare alle stampe . Durante il percorso a piedi fino a Reggio Emilia rilegga tutto il manoscritto e al termine del o dei colloqui decidera' se pubblicarlo oppure no .

http://www.diocesi.re.it/wd-annuario-persone/ermes-macchioni/

P.S. Spulciando fra i libri di una libreria cattolica , nel settore dedicato a Maria c'erano testi del Montfort , di Sant'Alfonso M.de Liguori ma anche di Augias . In bella mostra molti testi sull'ecumenismo tra cui Enzo Bianchi . Ho avuto un immediato senso di compassione per la Chiesa Cattolica e per i suoi figli , per il beneficio o il danno che alcuni di questi libri avrebbero arrecato . La Santa Chiesa Cattolica e' gia' piena di piaghe da decubito e' il caso di aggiungerle anche delle escoriazioni ?

Anonimo ha detto...

Non ho la preparazione dei promotori e collaboratori di questo blog, quindi da persona semplice quale sono, mi viene da obbiettare che qui forse nessuno vuole negare ne'l'azione della Grazia, ne' la possibilita' di recupero di un'anima peccatrice. Quando si sostiene che e' meglio che per il futuro tale don Marco se ne stia il piu' possibile lontano dai bambini, si vuole solo riconoscere la realta' della sua condizione. Gli esperti affermano che questa tendenza perversa puo'essere imbrigliata e domata (noi sappiamo con l'aiuto della Grazia), ma , come succede nelle dipendenze, il peccatore tendera' inevitabilmente a ripetere il peccato prima o poi. Magari anche dopo vent'anni o piu' (si vedano casi di preti ottuagenari che reiterano tale orrore). Per questo la frase di don Di Noto riportata da Luisa va tenuta presente perche' esprime concretamente la virtu' della Prudenza che la Chiesa deve osservare, soprattutto quando ci sia di mezzo l'anima di bimbi innocenti. Dunque lasciamo che sia la Prudenza "la retta norma dell'azione". Il recupero di queste persone dura purtroppo tutta la vita e si potra' giudicare solo sul letto di morte se quel peccatore e' stato davvero un "peccatore redento". Mi scuso comunque per la reazione troppo emotiva delle ore 18,22 di ieri...

Luisa ha detto...

Capisco Maria, purtroppo i rischi di ricaduta esistono e mi stupisco che a un colpevole di pedofilia che ha scontato anni privazione di libertà per quel crimine siano stati affidati incarichi pastorali, anche se dopo quel che definisci un " serio cammino di recupero , non so se sia un a decisione esemplare, in generale come minimo si tiene la persona lontana dalla "tentazione", da bambini e giovani, in Francia lo scandalo della pedofilia ha scosso in profondità la Chiesa, anche lì certi responsabili della Chiesa hanno tentato di giustificarsi, quando certi sacerdoti rimessi nel circuito sono ricaduti, dicendo che avevano fatto un percorso di ricupero.
Forse la Chiesa ha sbagliato all`inizio dando una speranza che si è poi rivelata infondata, fare la differenza fra un colpevole da sospendere e un peccatore redento, decidere che quel colpevole si è trasformato in un peccatore redente, non spetta a me farlo e non spetta nemmeno a quel colpevole, spetta alla Chiesa che ha preso quella decisione effettivamente tardiva.

Anonimo ha detto...

“O felice penitenza, che mi ha meritata tanta gloria!” Così si esprimeva S.Pietro d' Alcantara
http://itresentieri.it/liturgia-della-festa-19-ottobre-san-pietro-dalcantara-confessore/

Anonimo ha detto...


I tre aspetti della disputa

Nella disputa finora intercorsa sembra si siano sovrapposti tre aspetti: l'effettivo "recupero" del sacerdote e la sua riduzione allo stato laicale (= è giusto cacciarlo perché potrebbe sempre ricadere nell'odioso peccato non perché non si sia pentito e non abbia espiato). Ma, terzo aspetto, lo cacciamo perché il peccato è tale che non può esser perdonato.
Le tre cose, dal modo di agire di Papa Francesco (se esattamente riportato), sembrano connesse ma soprattutto nel senso della inespiabilità.

1. Nel primo caso, il problema qual è? Far sì che un sacerdote che dimostra aver espiato ed esser guarito da certe tendenze, possa restare nella Chiesa ma, per prudenza, in compiti che lo tengano lontano da fanciulli e/o fanciulle. E quindi, per esempio, in forma di vita monastica, finalizzate sempre all'espiazione e alla penitenza, finché vive. Questa seconda sembrerebbe esser in teoria la soluzione pratica migliore. Il principio applicato sarebbe conforme al Vangelo e attuato con la dovuta prudenza (- sei perdonato ma d'ora poi vivi da trappista). E il principio è che il peccatore sinceramente pentito deve esser perdonato ossia, nel nostro caso, non più ridotto allo stato laico, sanzione gravissima che si applica in genere all'indurito e impenitente.
2. Applicare comunque la riduzione allo stato laico al sacerdote che avesse dimostrato coi fatti di essersi pentito, non sarebbe contraddittorio? Se si è pentito e lo ha dimostrato negli anni, perché trattarlo come uno che non si è pentito? Per evitare il pericolo di "ricadute" non c'`e bisogno di cacciarlo dalla Chiesa, basta agire con prudenza nei suoi confronti, come si è detto sopra.
3. Ma, da un punto di vista più generale, tale riduzione allo stato laico presenta quest'aspetto essenziale: si ammetterebbe l'esistenza di una categoria di peccati per i quali non si dà possibilità di perdono, anche se uno si è sinceramente pentito (inespiablità). Il che non sembra conforme al Vangelo. Il problema diventerebbe allora anche teologico ossia dottrinale.
E questa negazione del perdono per questo tipo di peccati della carne, perché non dovrebbe applicarsi anche ai laici? Se l'inespiabilità discende dalla natura del crimine, poco importa lo status di chi lo commetta.
(Negli ultimi anni di regno Ben. XVI, un anziano sacerdote americano, pedofilo acclarato che si era fatto diversi anni di galera per le sue gravi colpe, ormai malato irrimediabilmente di cancro, dichiarandosi amaramente pentito di tutto il male che aveva fatto, mandò al Papa una supplica chiedendo che non firmasse il decreto di riduzione allo stato laicale, già sullo scrittoio del Papa da mesi: chiedeva la grazia di morire da sacerdote (o frate, cito a memoria), nonostante tutto. Ben. XVI gli accordò la grazia e lui morì poco dopo. In America, qualcuno cercò di portare in giudizio Ben. XVI dicendo che in tal modo aveva protetto un pedofilo, tesi del tutto assurda e la cosa finì in una bolla di sapone. Presso i giuristi romani valeva il detto: summum ius, summa iniuria).

Luisa ha detto...


Mettendo da parte i sacerdoti pedofili che dicono di essere pentiti quando non lo sono , un sacerdote che si è macchiato di quel crimine può essere intimamente e sinceramente convinto di essere stato toccato dalla Grazia, può dirsi sinceramente pentito e convinto di essere oramai liberato da quelle tendenze criminali( e non sto parlando delle sue tendenze omosessuali) , ma la verità, per dura, inaccettabile e per taluni impietosa, possa essere è che nessuno, nemmeno lui, può garantire che non cederà in un futuro più o meno prossimo, o lontano, alla tentazione che lo ha fatto cadere nel passato.
Stiamo parlando di bambini, di adolescenti, di vite rovinate dal desidero impuro di un sacerdote, è il dovere della Chiesa di proteggere quegli innocenti, non lo ha fatto o fatto molto male nel passato, è una macchia molto scura, Benedetto XVI ha introdotto la tolleranza zero, ma le abitudini sono radicate in profondità, le resistenze numerose.
La Chiesa non può, per chi si è reso colpevole del crimine di pedofilia, prendere delle sanzioni "à la carte", diverse per ogni caso e ognuno, ci deve essere una coerenza e una sanzione rapida che, nel caso non ci sia riduzione allo stato laicale, impedisca nel modo più drastico, e sorvegliato, a colui che resta sacerdote di avvicinare dei bambini.
Mi sembra di dire una cosa così evidente e logica che non posso capire che ci siano dispute, la priorità assoluta è da dare ai bambini, agli innocenti, il cammino di chi ha infranto quell`innocenza e si è sinceramente pentito è lungo e doloroso, come è normale che lo sia, il crimine commesso non è un episodio, un`esperienza che si può incapsulare e mettere in un tiretto del passato, come se fosse stata una caduta unica e isolata senza rapporto con il resto e non ripetibile.
La responsabilità della Chiesa è di proteggere gli innocenti, quella di chi ha aggredito quell`innocenza è di continuare, giorno dopo giorno, a domandare umilmente l`aiuto e la protezione del Signore per restare sulla via retta, è renderGli grazia per la Sua Presenza, e farlo pur essendo consapevole delle proprie fragilità.

Catacumbulus ha detto...

A quanto perfettamente sintetizzato da Anomino del 18 ottobre 2017 22:50, aggiungo solo quanto segue.

Se i fatti oggettivi riportati corrispondono al vero, la testimonianza di questo sacerdote vale, proprio perché ha commesso un crimine tanto infamante. Il suo caso, in quanto particolarmente difficile, funge da cartina tornasole.

E allora il sacerdote in questione sta semplicemente parlando di "sepolcri imbiancati", il che, conoscendo per esperienza diretta le gerarchie moderniste, non mi stupisce affatto. E' facile apparire giusti e misericordiosi, quando il caso è semplice. Si è tanto bravi a "dialogare" e a dimostrare comprensione fino a che l'interlocutore non sia in grado di mettere in difficoltà, magari proprio perché dice il vero (facendo crollare i castelli ideologici) o fino a che il caso da trattare secondo giustizia e carità non comporti soluzioni che la mentalità "huius mundi" non può capire e dunque nemmeno applaudire. E' tanto facile, in eretico ossequio alla mentalità di questo mondo, additare il mostro (senza riconoscergli reale e concreta possibilità di rendenzione), quanto, all'opposto, concedere accondiscendenza "discernente" verso il peccatore non pentito. Facce della stessa medaglia: mancanza di vera giustizia, carità cristiana e fede soprannaturale.

Catacumbulus ha detto...

@Luisa
Ti è stato già risposto che non si vede perché la riduzione allo stato laicale, di per sé, debba costituire migliore garanzia di protezione degli innocenti. Si può benissimo, invece, consentire a chi abbia concretamente dimostrato pentimento, di continuare ad essere sacerdote, senza per questo porlo a contatto con bambini o giovani, appunto, per esempio "confinandolo" in una comunità monastica. L'importante è che i superiori vigilino, cosa che però purtroppo non è più abitudine a partire dalle ammissioni totalmente "allegre" in seminario.

marius ha detto...

@ Luisa 19 ottobre 2017 08:39
Perfetto.

Non ci si può impegolare in un caso di pedofilia senza conoscere da una parte in modo professionalmente affidabile le implicazioni particolari, gravi e specifiche di questo tipo di reato, e dall'altro le complesse insondabili sfaccettature di un caso particolare.

La vita cristiana può essere vissuta in diverse forme che portano tutte alla salvezza eterna, non è indispensabile essere sacerdote per avere salva l'anima, tanto più se esigenze tassative di ordine superiore lo impongono, come la salvaguardia prudenziale e irrinunciabile di persone fragili e indifese.

Dalle nostre parti un prete del RdS che ebbe problemi simili ha avuto l'accortezza di chiedere lui stesso spontaneamente la riduzione allo stato laicale. A lui poi la scelta: o lasciarsi andare o imparare a vivere nella nuova situazione abbandonandosi e corrispondendo così alla volontà divina che si manifesta nella situazione contingente: "Sia fatta la Tua, non la mia volontà".

Anonimo ha detto...


Benedetto XVI ha introdotto la tolleranza zero e ha fatto benissimo. Abbiamo saputo dopo la sua abdicazione (fonte Ass. Press) che aveva ridotto allo stato laicale diverse centinaia di sacerdoti dai corrotti costumi. Ma nel caso concreto, quello della richiesta della grazia di non esser ridotto allo stato laicale da parte del sac. o frate americano malato terminale di cancro che aveva pagato il suo debito alla giustizia civile, Ben. XVI ha evidentemente ritenuto del tutto sincera e oggettivamente giustificata la supplica del frate e l'ha accolta. Quella valutazione, positiva o negativa, solo lui poteva darla. E non abbiamo motivo di dubitare della giustezza della sua decisione, che suscitò comunque scandalo, è ovvio.
L'applicazione della giustizia, insegnava Aristotele, deve esser, per quanto possibile, temperata in base al principio dell'equità; il quale principio si valuta sempre e solo in relazione al caso concreto. Cioè, è l'autorità legittima (giudice, governante, maestro) a decidere, sotto la sua responsabilità, se, nel caso specificio, l'applicazione di questo principio possa aver luogo. Del resto, ogni sentenza, ogni giudizio su ciò che ha fatto o non fatto un individuo, deve considerare le circostanze specifiche del caso concreto, altrimenti regrediamo alla barbarie della colpa collettiva, della colpa del sangue.

(Non sono rovinate solo le vittime di pedofili e simili, lo sono anche tutte quelle delle vittime degli altri peccati. Il peccato, quale che sia, rovina sempre le vite di chi ne è vittima. Pensiamo per es. ad una truffa ben riuscita che rovini un commerciante, un professionista, facendogli perdere il patrimonio, che non recupererà mai più, nemmeno nel caso di condanna giudiziale del malfattore. La sua vita, non ne è rovinata? E l'adulterio, per il coniuge che ne è vittima, non è quasi sempre una ferita che non si rimargina mai? E quelli che hanno la via rovinata per sempre, in questo mondo, dalle menzogne e dalle calunnie più infami? Pensiamo al caso Tortora. Gli esempi si potrebbero moltiplicare all'infinito).

Anonimo ha detto...

La Chiesa e' una madre e come una madre a volte castiga i suoi figli : a volte li percuote con ragione , a volte li percuote a torto ,ma, le mani sono sempre le stesse , le mani della madre .

irina ha detto...

"...La Gerarchia cattolica attuale, nello stringere i freni, sembra applicare gli stessi criteri. Enfasi sulla pedofilia, senza distinguere tra quella omo ed etero, silenzio assoluto sulla pederastia e quindi sull'omosessualità; silenzio sul libertinaggio, chiamiamolo così (per i preti che insidino non le bambine ma le giovanette). Tutto viene messo nel calderone della "pedofilia"..."

-Ora, come già scritto, mi chiedo come mai nel tempo la Chiesa non abbia distinto questi diversi torrenti;

-come non abbia messo a punto le sue medicine e terapie;

-queste aberrazioni sono tipiche di ambienti chiusi, senza fondamento nè orizzonte spirituale, soprannaturale.

-la Chiesa invece di aggiornarsi, avrebbe fatto meglio ad approfondire il valore, l'uso, degli strumenti che il Signore le ha lasciato per curare le anime ed implicitamente i corpi.


-

Anonimo ha detto...

X Don Marco,

nessuno meglio di lei conosce tutte le sfaccettature di questo peccato, e le difficoltà della Chiesa nel riconoscerlo, nel gestirlo, nel medicarlo. Faccia tesoro di tutto quanto ha vissuto, di quanto anche qui è stato scritto, in particolare dei commenti più urticanti i soli in grado di raschiare a fondo, faccia di tutto questo bagaglio l'umile lavoro della sua vita futura, da mettere a disposizione della Chiesa che dichiara di amare, senza alcun suono di tromba editoriale.Più in particolare suppongo che quello che le è veramente mancato sia stato un uomo di Dio come confessore, come guida spirituale, anche su questo avrà, col tempo, da dire. Le auguro di trovare la sua strada nel nascondimento, nell'ombra, nella santità di vita, nella dedizione al bene della Chiesa.
Sua sorella in Cristo, M.A.

marius ha detto...

Ti è stato già risposto che non si vede perché la riduzione allo stato laicale, di per sé, debba costituire migliore garanzia di protezione degli innocenti. Si può benissimo, invece, consentire a chi abbia concretamente dimostrato pentimento, di continuare ad essere sacerdote, senza per questo porlo a contatto con bambini o giovani, appunto, per esempio "confinandolo" in una comunità monastica.

In un monastero vi è la possibilità di vivere come monaco non presbitero.
Non dovrebbe il soggetto medesimo discernere se desidera intraprendere una vita monacale? non penso che si possa imporre ad un monastero di accogliere nella comunità dei preti con problemi soltanto perché hanno problemi. I monaci stessi fanno un lungo e severo cammino vocazionale preliminare prima di emettere i voti solenni.

Catacumbulus ha detto...

@Marius
Domanda: il problema consiste nel fatto che sussisterebbe un'incompatibilità essenziale tra un certo tipo di peccati e la dignità sacerdotale in quanto tale, oppure consiste nel fatto che di per sé, rispetto a questo peccato, il permanere sacerdote a tutti gli effetti sarebbe di per sé inscindibile da un maggior pericolo (rispetto alla situazione in cui, al contrario, si fosse ridotti allo stato laicale) per potenziali ulteriori vittime? Nel primo caso si tratterebbe di un impedimento di principio, nel secondo solo di uno di fatto, la cui necessità va dimostrata e non mi pare possibile farlo. D'altra parte che si tratti del primo caso, pare smentito da ciò che è stato riferito intorno a quanto fece, almeno in un caso, Benedetto XVI. Ne deduco che la sua posizione non è sostenuta da ragioni cogenti.

Per quanto mi obietta direttamente.
1) A me risulterebbe, per esempio, che gli oblati benedettini possano essere anche sacerdoti, ma forse mi sbaglio. Se ciò fosse il caso, un oblato sacerdote non avrebbe la possibilità di celebrare (anche da solo), confessare, ecc.?

2) Certo ci deve essere l'assenso dell'interessato, ma, qui sì, gli si potrebbe proporre un aut aut senza mancare di carità.

2.1) Quanto all'imporlo a una comunità, non vedo il problema. Se si comporta bene e accetta la convivenza secondo le regole del luogo, cosa può fare difetto, se non la mancanza di carità nei suoi confronti da parte della comunità prescelta dalle autorità competenti?

P.S. Mi scuso con Luisa, se mi è sfuggito l'uso del "tu".

Luisa ha detto...

Per carità Catacumbulus, no problem:)

" nel secondo solo di uno di fatto, la cui necessità va dimostrata e non mi pare possibile farlo "

Appunto perchè nessuno, in primis chi deve subire la giusta sanzione, può garantire che non c`è più nessun pericolo, la Chiesa deve pensare innanzitutto alle vittime passate e potenzialmente future e mettere il colpevole in condizione di non più nuocere ( scusate il mio italiano claudicante), mi sembra evidente che la riduzione allo stato laicale è, in quell`obiettivo, la soluzione la più radicale, come disse don di Noto "un pedofilo non può più essere sacerdote", fermo restando che sarà della responsabilità del sacerdote "spretato", se è sincero nel suo cammino, nel suo pentimento, nella sua intenzione di riparare e non più cadere, anche se deluso, arrabbiato, triste per la sanzione che può considerare ingiusta, di continuare a vegliare, a pregare e domandare l`aiuto del Signore per raddrizzare, purificare, in una costante attenzione sotto lo sguardo del Signore.

Lo stesso vale se la punizione è di isolarlo in un convento, in una comunità non può essere trascurata o banalizzata la tendenza ( altri direbbero orientamento..) omosessuale che esige comunque e già alla base un profondo lavorio interiore.
E la sorveglianza per far rispettare quell`isolamento che deve essere severa e costante senza allentamenti o distrazioni.
Purtroppo in Francia sono venuti alla luce casi molto dolorosi di ricadute dopo un sedicente cammino di pentimento e di isolamento.

Catacumbulus ha detto...

@Luisa
1) Il punto della questione non è se il pericolo di una ricaduta sia evitabile in assoluto, ma se con la riduzione allo stato laicale siano maggiori le probabilità che non si diano ricadute.

2) A me pare che vi sarebbero migliori garanzie nel caso che al reo pentito venisse concesso di rimanere sacerdote, se le cose fossero fatte come devono essere, naturalmente; e purtroppo il fatto che vi siano casi di ricaduta, è probabile dipenda maggiormente dal fatto che le cose non sono state fatte a dovere, ossia non sono state fatte mettendo in opera una vera vigilanza e gestendo il tutto con vera prudenza (e carità). Nel contesto attuale vale piuttosto il contrario e non a caso ho ricordato la situazione dei seminari, dove spesso, non solo vi è assenza di vigilanza, ma all'opposto un più o meno esplicito favorire situazioni, per usare un eufemismo, "molto ambigue".

2.1) Lavorio interiore, controllo sull'isolamento e giudizio finale sul valore del percorso svolto sono proprio tutti aspetti che si possono attuare al meglio se non si abbandona al proprio individuale destino il sacerdote. Cosa a cui accennava anche Don Marco, asserendo che gli è stato improvvisamente tagliato ogni ponte, anche quelli che magari si era costruito dopo il fattaccio e che erano utili proprio a fornire aiuto affinché non ricadesse.

marius ha detto...

@ Catacumbulus
Domanda: il problema consiste nel fatto che sussisterebbe un'incompatibilità essenziale tra un certo tipo di peccati e la dignità sacerdotale in quanto tale, oppure consiste nel fatto che di per sé, rispetto a questo peccato, il permanere sacerdote a tutti gli effetti sarebbe di per sé inscindibile da un maggior pericolo (rispetto alla situazione in cui, al contrario, si fosse ridotti allo stato laicale) per potenziali ulteriori vittime?

Penso che si tratti di una misura punitiva esemplare e dissuasiva comminata a tutti i preti che incorrono in questo reato. Ed è un bene che abbia pure un effetto retroattivo.
Se poi, per ipotesi, l'ex prete in seguito alla riduzione allo stato laicale riuscisse a farsi incaricare come docente in scuola elementare o media o come allenatore sportivo o come guida scout, il pericolo rimarrebbe identico come se continuasse a fare il parroco. Ma in quei casi sarebbe la società civile a prevenire e a regolare la questione.
Quindi penso che il provvedimento non riguardi la compatibilità con la dignità sacerdotale per quanto attiene strettamente il potere dato da Dio di amministrare i sacramenti della Chiesa, quanto piuttosto le implicazioni pastorali che l'ordinazione sacerdotale comprende.
È anche logico che la pena sia identica per tutti i casi similari, perché se già all'inizio si fanno 50'000 distinguo ti saluto poi la serietà e il rigore dell'applicazione della legge nelle più disparate situazioni. Le eccezioni non devono essere comprese nella regola. Le eccezioni sono tali proprio perché sono estranee alla regola, altrimenti si coltiva un ginepraio dal quale non si esce più. In questo senso va compresa la decisione eccezionale di BXVI.

Per quanto riguarda l'eventualità della vita monastica, non voglio entrare nel merito delle situazioni di ogni singolo ordine o comunità monastica. Io mi riferisco solo alla possibilità, a tutti ben nota, di vivere in monastero o in convento come come semplice frate o monaco non ordinato.
Ma la vita monastica non è da tutti, non può essere imposta: nell'intervento precedente mi riferivo ad una supposta imposizione di accoglienza al monastero (secondo me improponibile), ma ovviamente ciò vale anche per l'ex-prete, che deve poter scegliere liberamente come impostare il suo nuovo stato di vita, in ambito civile o, se lo desidera, chiedendo accoglienza presso una famiglia religiosa.

Catacumbulus ha detto...

@Marius

1) Sul fatto che possa costituire reale misura dissuasiva, dubito molto.

2) Appunto, una volta allontanato, l'ex sacerdote è abbandonato a se stesso e può praticamente fare ciò che vuole, in un contesto sociale che certo non lo predispone a intraprendere o continuare il necessario percorso di ravvedimento ed espiazione. Se le cose fossero fatte come devono, mi pare sarebbe più facile esercitare controllo efficace nell'ipotesi in cui rimanga all'interno del mondo ecclesiastico.

3) Stiamo discutendo infatti del fatto se sia realmente il modo più efficacie per garantire tutti al meglio, quello di ridurre ipso facto un sacerdote allo stato laicale in questi casi. Forse (e dico "forse" perché ovviamente lei non ha tutti i torti) si tratta di un provvedimento che di per sé non andrebbe elevato a regola generale, ma lasciato ad una valutazione prudenziale caso per caso.

4) Certo, ripeto, la vita monastica non può essere imposta, ma si può imporre una scelta: o accetti questi mezzi di correzione e garanzia (dando poi prova dei risultati), oppure veramente l'atto più prudente è quello di ridurti allo stato laicale.

mic ha detto...

Quoto Catacumbulus.
La ragionevolezza della carità...

marius ha detto...

@ Catacumbulus

Sul n°1: questo è un problema comune a tutte le leggi.
P.es. la scomunica comminata per la consacrazione di vescovi senza mandato papale; oppure, caso completamente diverso, l'aborto.
Sta di fatto che se la legge non ci fosse o non fosse chiara o non fosse abbastanza severa gli abusi trionferebbero a dismisura e sarebbe l'anarchia.

Sul n°2: anche se non l'avevo esplicitato in quanto non era l'oggetto diretto del discorso io non escludevo che occorra e sia più che auspicabile una proposta e una disponibilità di accompagnamento e di sostegno; non un controllo, proprio per il fatto che l'ex-prete non è più un chierico, ma diventa un laico come tutti gli altri. Il fatto di rimanere nel mondo ecclesiastico o no deve essere una scelta libera dell'ex-prete.

Sul n° 3: anche se di primo acchito sembrerebbe più "umana" e caritatevole la soluzione del "caso per caso" in fase di comminazione della pena, in realtà costituisce già un'apertura d'ufficio a inevitabili compromessi, favoritismi, foriera di abusi e di false speranze, nonché incentivante atteggiamenti insinceri in vista di un trattamento di riguardo.

Sul n° 4: dire in pratica mangia 'sta minestra o salta 'sta finestra non mi sembra una soluzione dignitosa. Nel mio primo intervento (17 ottobre 2017 13:47) auspicavo io stesso la vita monastica come espiazione vita natural durante, ma come libera scelta del soggetto, non come imposizione dall'alto.

Spero sia chiaro per tutti che, come si sta facendo gradualmente negli ultimi commenti, sto parlando in linea generale senza alludere ad alcun caso particolare. Ciò permette naturalmente di essere più lucidi ed imparziali.
L'empatia verso una persona in particolare è una cosa diversa applicabile, più che sul web, nell'appropriato contesto dell'incontro interpersonale.

Anonimo ha detto...


A questo punto, bisognerebbe forse chiedersi: come interpretare Mt 12, 30 ss. e 1 Cr 6, 8 ss?

"Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde. Perciò io vi dico: ogni peccato e ogni bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata" (Mt 12, 30 ss.).
Se, per esser assolti dal peccato di aborto volontario occorre la dispensa del vescovo al confessore, questo significa che l'assoluzione sacramentale per questo grave peccato è più difficile, non che sia impossibile. Esistono peccati per i quali non sia a priori possibile l'assoluzione per chi se ne è sinceramente pentito? Il peccato contro lo Spirito Santo è simile a quello di Giuda, si è sempre detto, che disperò della Grazia e si suicidò. E forse ci sono altri modi di peccare 'contro lo Spirito Santo'. Ma la frase di Gesù sembra indicare che per tutti i peccati è possibile il pentimento e l'assoluzione, appunto perchè Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi, anche se molti non si salveranno, per colpa loro.

Quando S. Paolo, dopo aver condannato giustamente come "turpe" il vizio contronatura, scrive che nella comunità c'erano alcuni notori peccatori pentiti (fornicatori, idolatri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, maldicenti, rapaci) che però erano stati "lavati", "santificati", "giustificati nel nome del Signore GC e nello Spirito del Dio nostro" (1 Cr 6, 8 ss.), non fa vedere che ogni peccato può essere effettivamente perdonato dalla divina Misericordia? Ovvio: solo a chi si pente veramente e cambia vita.
Ragionando con la logica rigorista emersa in questo dibattito da parte di alcuni, S. Paolo tutti questi peccatori avrebbe dovuto cacciarli dalla comunità, per evitare il pericolo di eventuali "ricadute", e in particolare ex-effeminati ed ex-pederasti, a causa del carattere "turpe"del loro peccato. Cosa evidentemente ingiusta.
Ora, nel caso delle dichiarazioni di Papa Francesco (un Papa che divide in tutto quello che dice e fa, a quanto pare) il motivo del contendere non è dato dall'aver egli ribadito la sanzione gravissima dello spretamento per i preti "pedofili" ma nell'aver egli detto di volerla applicare sempre e comunque, anche al reo che si fosse pentito e avesse espiato la sua colpa seguendo "percorsi" di rinascita ammessi e stabiliti dalla Chiesa stessa.
Ma il reo rinato (vedi s. Paolo), la Chiesa lo perdona dal suo peccato o no? Applicando Vangelo e 1 Cr cit., Papa Francesco, se confessasse Don Marco guarito dalla sua tendenza, pentito e ravveduto, dovrebbe dargli l'assoluzione. E dopo averlo assolto, cacciarlo dalla Chiesa a causa della gravità del suo peccato? Delle due, l'una: o non gli dà l'assoluzione (e su che basi?) o non può più cacciarlo, una volta assolto.
C'`e qui un evidente problema di giustizia, afferente al concetto stesso della giustizia, poiché si metterebbero sullo stesso piano il reprobo incallito e l'innocente, perché tale diventa colui che si è pentito ed è stato assolto, quanto al peccato.
La presa di posizione di Papa Francesco sembra implicare l'esistenza di peccati per i quali non si può assolvere. E perché, allora, solo per la pedofilia? Forse che prostituirsi è un peccato meno grave? E fornicare e adulterare? I peccati che gridano vendetta di fronte a Dio sono quattro.
Circa il problema della ricaduta del peccatore pentito, vale per tutti i peccatori, quali che siano i loro peccati: si abbia il coraggio di dire che solo con la condanna a morte del reo, quale che sia il suo peccato, il pericolo della ricaduta non c'è.

Catacumbulus ha detto...

@Marius

1) L'effetto dissuasivo di una punizione si appoggia su due colonne: da un lato, sul contenuto più o meno aspro della punizione in sé, dall'altro, sulla specifica fattispecie del reato a cui la punizione si riferisce. Ci sono reati che di per sé, cioè per la natura degli atti in cui consistono, sono più obnubilanti la ragione, e dunque la capacità di autocontrollo, rispetto ad altri. I reati e peccati sessuali rientrano senz'altro nella categoria di quei peccati che offuscano di più la ragione, non solo per le passioni da cui dipendono, ma per il degrado psicologico profondo da cui spesso derivano. Questo può non avere fondamentale influenza sulla gravità morale della colpa, poiché si può ben essere colpevoli di ciò che ha portato alla situazione di degrado psicologico in cui si versa; ma sicuramente ha sempre influenza sull'efficacia della dissuasione propria della punizione: in poche parole, rispetto ad un reato o a un peccato che non dipende così immediatamente e strettamente da passioni e da situzioni psicologiche compromesse una punizione severa ha più efficacia come dissuasivo. Dunque si tratta, sì, di un problema comune a tutte le leggi, ma in modo del tutto analogico in dipendenza dal reato a cui si oppongono; e in questo caso si tratta proprio di uno di quei reati verso cui la dissuasività rischia di essere minore, per i motivi spiegati. [segue]

Luisa ha detto...

",,,ma lasciato ad una valutazione prudenziale caso per caso."

È quella punizione à la carte a cui alludevo più sopra e che mi sembra non solo irrealizzabile ma molto, molto rischiata, chi decide, sulla base di quali criteri, perchè quello sì e l`altro no, ecc. ecc.
Una volta ridotto allo stato laicale, impossibilitato in quanto sacerdote di fare del male a degli innocenti, come dicevo più sopra spetta a chi si è macchiato di quel crimine di continuare il suo cammino, con l`aiuto di persone competenti e di una guida spirituale, se dovesse ricadere dopo la sanzione della Chiesa ciò non farebbe che mostrare che le sue tendenze erano ben più profonde di quanto voluto ammettere.

Stiamo discutendo della sanzione da applicare ad un sacerdote pedofila, si parla di carità nei suoi confronti, io vorrei che si pensasse e si parlasse maggiormente delle vittime innocenti che vedranno la loro vita marchiata in profondità dalla violenza carnale subita, con possibili comportamenti autodistruttivi, disturbi della personalità , difficoltà nelle relazioni sociali, la memoria di quel traumatismo sarà distruttiva per la loro salute psichica e devierà il loro sviluppo normale, il traumatismo sarà ancor più profondo quando l`autore è una persona in cui il bambino, o l`adolescente, aveva assoluta fiducia ed è il caso per un sacerdote.

Catacumbulus ha detto...

@Marius e @Luisa

3) Fatto salvo che una punizione e, se possibile, una via di recupero del reo deve essere applicata, ogni legge punitiva ha una gradazione di gravità nel tipo e numero di provvedimenti penali applicabili in dipendenza da tutte le circostanze differenti e specifiche che i singoli casi possono presentare. Ed è esattamente a discrezione del giudice trattare in modo più o meno differente casi che rientrano sotto una categoria generale più ampia. La legge è uguale per tutti quelli che si trovano esattamente nella stessa fattispecie di reato. Rispetto a ciò di cui stiamo discutendo, non è detto che ridurre allo stato laicale tutti i preti macchiatisi di atti pedofili sempre e in ogni caso corrisponda a giustizia o anche alla soluzione migliore per evitare con le migliori garanzie la reiterazione del reato. Ed è in questo senso che mi parrebbe opportuno giudicare dell'applicazione di questa parte della pena, caso per caso.

3.1) Luisa, non sottovaluto per nulla il danno arrecato alle vittime, ma il senso della discussione in corso è quello di capire se per ottenere il meglio anche per le vittime sia necessario ridurre allo stato laicale. Inoltre non si può non considerare adeguatamente come, senza nulla togliere ai diritti delle vittime, si possa eventualmente favorire la redenzione del colpevole, sempre possibile per qualunque peccato (se abbiamo vera fede in Dio), anche per i più infamanti come questo. [segue]

Catacumbulus ha detto...

@Marius

4) Invece mi pare che proprio a causa della gravità del reato in questione, si abbia tutto il diritto, senza mancare di carità, anzi dimostrandola, di proporre un aut aut impositivo le cui regole siano esigenti. Chi dimostrasse di potervisi attenere, proprio perché esigenti, avrebbe dimostrato di poter riguadagnare la dignità perduta. E questo non toglie la libera scelta, ma nemmeno implica una libertà di scelta senza limiti definiti. Altrimenti mi pare sarebbe lei a rimanere vittima di una mentalità lassista: si corregge proponendo regole di durezza proporzionata al crimine commesso, ma rendendosi allo stesso tempo presenti, non scaricando il problema o la patata bollente ad ambiti esterni. Questa non sarebbe da nessun punto di vista carità verso il peccatore.

Anonimo ha detto...

l'ex-prete non è più un chierico, ma diventa un laico come tutti gli altri.
Non è proprio così. L'ex-prete diventa un chierico colpito da "IRREGOLARITA' PERPETUA", (ovvero gli è vietato compiere gli atti propri del prete, come amministrare i Sacramenti, e se lo fa salvo situazioni particolari, tipo in presenza di moribondi, COMPIE PECCATI MORTALI GRAVISSIMI). i è sacerdoti IN ETERNO. UNA volta ricevuto il carattere sacerdotale, questo ti rimane anche in Cielo o all'inferno.

marius ha detto...

@ Mic

... o carità della ragionevolezza?

Alfonso ha detto...

Cara Mic, hai presentato questa "drammatica testimonianza di un sacerdote" come "un’esperienza di redenzione" e sulla "redenzione" del peccatore credo che ti aspettassi da noi cattolici una fraterna discussione "teologica" che ne chiarisse il significato "cristiano".
Ho già detto come penso mi comporterei "a caldo" nei confronti di chi commettesse violenza a danno di un mio caro, ma ho parlato da padre e da nonno. Sulle opinioni espresse dagli altri non ho nulla da rilevare. Ma, cara Mic, dopo aver atteso che il fiume di parole smaltisse la vis polemica, mi permetto molto umilmente di chiederti se è proprio impossibile avere dialoghi un pochettino più socratici, evitando la macrologia. Recentemente, è stata bloccata una discussione per un eccesso di "pathos". Per evitare di offendere il nostro "logos", si può invitare i dialoganti ad essere più sintetici, ad esprimere il loro pensiero in poche frasi, di modo chè, come in questo caso giudiziario di pedofilia (ma un processo penale secolare c'è stato?), ci sia chiaro, ad esempio, che Tizio è per la castrazione chimica, Caio invece è per quella chirurgica, Sempronio ritiene che il criminale sia da segregare a vita, etc etc.
PS: quando uscirà in edicola il libro, mi puoi avvertire? Grazie.

mic ha detto...

... o carità della ragionevolezza?

Avevo scritto "La carità è sempre più ragionevole". Poi ho cambiato per sfumare l'affermazione. A questo punto la ripristino ;)

Catacumbulus ha detto...

Alfonso ha detto: "Recentemente, è stata bloccata una discussione per un eccesso di "pathos". Per evitare di offendere il nostro "logos", si può invitare i dialoganti ad essere più sintetici".

Una cosa è richiedere educazione e moderazione nei toni, un'altra sinteticità come criterio rigido. Se ritiene logorroiche certe discussioni, non le legga, ma per esperienza personale posso dirle che spesso è proprio il confronto spinto anche ai particolari ciò da cui possono emergere approfondimenti interessanti.

Piuttosto dal punto di vista metodologico sarebbe forse auspicabile disporre di un sito con "format" diverso, ossia che già in automatico permetta di tenere separati i diversi rivoli di discussione che si creano. Ciò anche a maggior comodità del lavoro di moderazione.

Roger de Bourneville ha detto...

Perdonate la provocazione: sarebbe stato meglio consentirgli caritatevolmente di restare un prete, ma giustamente in galera per il resto della vita.
Grazie a Marius per avere espresso, in modo brillante intellettualmente ed impeccabile razionalmente, il mio pensiero. Non sarei stato in grado di esprimermi ai suoi livelli.