Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 30 aprile 2013

Non confondiamo l'antisemitismo con l'ineludibile differenza tra le due fedi

Il Messaggero di oggi pubblica un articolo dal Titolo: Il rabbino critica l'Omelia del pontefice sugli ebrei:
ROMA «È necessaria maggiore cautela per prevenire ostilità e incomprensioni. Se uno afferma che gli ebrei erano brutti, cattivi, calunniavano e avevano il cuore freddo, capiscono tutti che si tratta di una polemica di duemila anni fa?». [...]. «E chiaro - afferma Di Segni  come nella sua omelia il Papa abbia usato il brano neotestamentario per sollecitare una riflessione e una critica interna al suo mondo. Ma il riferimento ai Giudei chiusi, se non viene spiegato bene nella predicazione, può suscitare ostilità e rischia di essere attualizzato da ascoltatori disattenti. Non era certo questa l'intenzione del Papa. Tuttavia la realtà attuale pone cautela: una cosa è predicare in Argentina, un’altra qui, con un ambiente e una mentalità totalmente differenti».
In realtà il Papa, come risulta dal resoconto de L'Osservatore Romano, non si è messo a parlare degli ebrei, ha semplicemente commentato un passo degli Atti degli Apostoli, peraltro nel corso di una celebrazione liturgica e non in una conferenza. Dunque non si dovrebbe più citare il Vangelo dove si parla degli ebrei?

Non è possibile tacciare di antisemitismo[1] qualunque espressione che nomini il popolo della vecchia Alleanza. Riporto quel che ne scrivevo qui in occasione della reazione suscitata urbi et orbi dalle parole di Mons. Fellay che aveva osato nominare gli ebrei, insieme a massoni e modernisti, tra i nemici della Chiesa. Radio Vaticana si era affrettata a ricordare due pilastri delle recenti posizioni della Chiesa al riguardo: rifiuto dell'antisemitismo e intangibilità della Nostra Aetate, partendo dalla citazione di alcune parole di Benedetto XVI. Riporto le considerazioni sul primo punto. Chi fosse interessato alle riflessioni sul secondo può consultare dal link.
« ...È l'occasione per ricordare che nel 2009, nel corso della sua visita in Israele, Benedetto XVI aveva qualificato l'antisemitismo come totalmente inaccettabile. Esso « continua a mostrare il suo volto ripugnante in molte parti del mondo ». L’anno precedente a Parigi, incontrando i rappresentanti della comunità ebraica aveva affermato che essere antisemita è essere anticristiano ».
Ebbene noi cattolici, compreso Mons. Fellay e la Sua Fraternità, siamo perfettamente d'accordo col Papa e non ci piace questa commedia degli equivoci che fa diventare antisemita qualunque espressione che ricordi la differenza sostanziale tra ebraismo e cristianesimo: il rifiuto della divinità di Cristo Signore; il che di certo non vede gli ebrei come nostri fratelli nella fede! Ma questo non comporta né rappresenta alcun odio nei confronti delle persone; anzi un cristiano si distingue per l'amore al nemico e per la preghiera nei suoi confronti, anch'essa abbiamo visto non gradita: si ritengono non bisognosi di conversione - che del resto nessuno vuole né può imporre - e la Chiesa glielo conferma (!?).
Però non confondiamo l'antisemitismo con il riconoscimento serio delle differenze che connotano le due fedi che, nonostante altisonanti e sempre più reiterate affermazioni, non adorano lo stesso Dio. Il che non deve produrre né inimicizia né disprezzo, ma realisticamente può comportare dialogo e collaborazione soltanto in ordine a questioni pragmatiche e culturali, dal momento che le fedi non possono dialogare. È dannoso diffondere equivoche possibilità su questo, altrimenti si produce solo omologazione e perdita di identità da parte nostra; il che equivale a rinnegare Chi il Signore è e ciò che Egli ha fatto e opera per noi fino alla fine dei tempi. Il problema è che l'affermazione della differenza, che non esclude il rispetto e che dovrebbe essere ovvia per chiunque, viene arbitrariamente e strumentalmente etichettata come istigazione all'odio.
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1. Sgombriamo il campo da ogni equivoco escludendo ogni rapporto tra l'antisemitismo inteso come odio razziale che non si identifica solo con quello nazista e l'antigiudaismo cristiano, che ha carattere esclusivamente religioso e riguarda una contrapposizione teologica sul riconoscimento del Messia nella persona di Gesù e non fomenta alcun odio né disprezzo, segna una semplice differenza identitaria dal punto di vista religioso. Il cristianesimo si innesta sulle stesse radici; ma si sviluppa in un diverso orizzonte escatologico. Quando si parla di giudaismo in riferimento al cristianesimo, bisogna intendere il giudaismo puro, con esclusione di quello spurio, che condanna e maledice i notzrì (cioè i cristiani). Questo ha inizio con l'esilio in Babilonia e sfocia, a partire dall’Assemblea di Yavne dopo la distruzione di Gerusalemme, nel giudaismo talmudico o rabbinico, che si è sviluppato contemporaneamente al cristianesimo in una netta differenziazione reciproca. Il cristianesimo, più che una 'forma' di giudaismo, ne è il compimento, nella Persona di Cristo, nei 'tempi ultimi' e nella Creazione Nuova da Lui inaugurata. E non è pertinente giocare sull'amalgama diffamatorio cristiano= antisemita facendone un miscuglio al passaggio anti-giudaico= anti-semita. In particolare, poi, in riferimento al nazismo, si ignora completamente che, se Hitler giunse al potere in una Germania originariamente cristiana, occorre fare una netta distinzione tra il cristianesimo dei protestanti e il cattolicesimo. Riguardo poi a fenomeni di antisemitismo, perché non fare un opportuno parallelismo tra il comportamento degli attuali fondamentalisti islamici e quello dei protestanti degli anni 30, invece di vedere l'antisemitismo tra i cattolici?

Anniversario dell'Istruzione «Universae Ecclesiae» sull’applicazione del «Summorum Pontificum»

Esattamente due anni fa, il 30 aprile 2011, nella memoria liturgica di san Pio V, su specifico mandato del Pontefice allora regnante, la Pontificia Commissione «Ecclesia Dei», ha emanato l’Istruzione «Universae Ecclesiae» sull'applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data «Summorum Pontificum» di S.S. Benedetto XVI del 7 luglio 2007.

Breve excursus storico. 

Dopo la riforma liturgica di Paolo VI, l' Indulto Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, concesse, a determinate condizioni, la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII nel 1962. Nel 1988, con il Motu Proprio “Ecclesia Dei”, Giovanni Paolo II esortò i Vescovi perché « fossero generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedevano ».
L’appello alla «generosità» dei vescovi è rimasto quasi ovunque senza esito e dunque, nel 2007, Benedetto XVI, con il motu proprio Summorum Pontificum, chiarì esplicitamente e definitivamente che l’antico rito non è stato «mai abrogato» e che rito antico e rito nuovo sono «due usi dell’unico rito romano». Il Papa svincolò dalla previa approvazione dei vescovi le Messe private di singoli sacerdoti, alle quali, dispose, «possono essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà» e quelle di ordini e società religiose, che possono essere celebrate con il rito antico senza richiedere alcun permesso, disponendo che se il vescovo «non può (l'originale latino riporta "vult", cioè vuole) provvedere» «la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia Dei”».

A quattro anni dal motu proprio del 2007, è stata emanata l’Istruzione Universae Ecclesiae, che sintetizza, tra l'altro, la triplice finalità del motu proprio del 2007 nei seguenti termini:
  1. offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’usus antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare;
  2. garantire e assicurare realmente, a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria;
  3. favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa.
Oggi ci troviamo con una situazione pressoché immutata, fatte salve alcune eccezioni, mentre dal Trono più alto (se così si può ancora chiamare) giungono segnali a dir poco inquietanti proprio sulla Liturgia, che è e resta culmine e fonte della Fede mentre non può tramontare la lex orandi lex credendi.

Nel ricordare, oggi, l'Istruzione Universae Ecclesiae, rimando ad una precedente riflessione.

lunedì 29 aprile 2013

Sandro Magister. L'incantesimo di papa Francesco

L'articolo odierno di Sandro Magister è da riprodurre integralmente perché propone con finezza di osservazione, molti punti-chiave della comunicazione del nuovo Papa e delle sue ripercussioni. Ci offre spunti diversi e ha il pregio di condensare nella sua analisi le principali recenti suggestioni taglienti della predicazione di questo Papa: quelle che noi abbiamo definito slogan sentimental-pop. Ma qui c'è qualche elemento in più. Vediamolo insieme.
In ogni caso una prima sommaria osservazione da farsi è che, finora, siamo solo in presenza di un fiume di parole, ma l'unico atto di governo di un certo peso è la famosa nomina del cosiddetto "Consiglio della corona" - [vedi anche].

La sua popolarità è in buona misura legata all'arte con cui parla. Tutto gli viene perdonato, anche quando dice cose che dette da altri verrebbero investite dalle critiche. Ma le prime proteste cominciano ad affiorare
ROMA, 29 aprile 2013 – Ha fatto rumore, sui media, il cenno critico che papa Francesco ha riservato allo IOR, Istituto per le Opere di Religione, la discussa "banca" vaticana, nell'omelia della sua messa mattutina nella Domus Sanctae Marthae, mercoledì 24 aprile:
"Quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ONG. E la Chiesa non è una ONG. È una storia d’amore... Ma ci sono quelli dello IOR… Scusatemi, eh!… Tutto è necessario, gli uffici sono necessari… eh, va bè! Ma sono necessari fino ad un certo punto: come aiuto a questa storia d’amore. Ma quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ONG. E questa non è la strada".
Queste sue omelie mattutine papa Jorge Mario Bergoglio le pronuncia interamente a braccio. E la frase riportata sopra è la trascrizione letterale fornita poche ore dopo dalla Radio Vaticana.

Ma lo stesso giorno, nel riferire in altro modo la stessa omelia, "L'Osservatore Romano" ha tralasciato l'inciso: "Ma ci sono quelli dello IOR… Scusatemi, eh!".

Questa disparità tra la radio e il giornale della Santa Sede è un indizio dell'incertezza che ancora regna in Vaticano su come trattare mediaticamente le omelie feriali del papa, quelle che egli pronuncia nella messa delle 7, nella cappella della residenza in cui abita.

A queste messe accede un pubblico selezionato, ogni mattina diverso. E il 24 aprile c'erano tra i presenti un buon numero di dipendenti dello IOR.

Queste omelie del papa vengono interamente registrate. Ma non seguono l'iter dei suoi discorsi ufficiali, per le parti improvvisate a braccio.

Non vengono cioè trascritte dalla registrazione audio, poi messe in bella copia nella lingua e nei concetti, poi sottoposte al papa e infine rese pubbliche nel testo approvato.

Il testo integrale delle omelie feriali di papa Bergoglio resta segreto. Ne vengono solo forniti due parziali resoconti, dalla Radio Vaticana e da "L'Osservatore Romano", redatti indipendentemente tra loro e quindi con una maggiore o minore ampiezza delle citazioni testuali.

Non si sa se questa prassi – mirata sia a tutelare la libertà di parola del papa, sia a difenderla dai rischi dell'improvvisazione – verrà mantenuta o modificata.

Sta di fatto che quanto si sa di queste omelie semipubbliche è ormai una parte importante dell'oratoria tipica di papa Francesco.

È un'oratoria stringata, semplice, colloquiale, imperniata su parole od immagini di immediata presa comunicativa. Ad esempio:
  • l'immagine "Dio spray", usata da papa Francesco il 18 aprile per mettere in guardia dall'idea di un Dio impersonale "che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia";
  • oppure l'immagine "Chiesa babysitter", usata il 17 aprile per stigmatizzare una Chiesa che solo "cura il bambino per farlo addormentare", invece che agire come una madre con i suoi figli;
  • oppure la formula "cristiani satelliti", usata il 20 aprile per bollare quei cristiani che si fanno dettare la condotta dal "senso comune" e dalla "prudenza mondana", invece che da Gesù.
Stefania Falasca, amica da tempo di Bergoglio – che le telefonò la sera stessa della sua elezione a papa –, gli ha chiesto dopo una messa mattutina alla Domus Sanctae Marthae: "Padre, ma come le vengono queste espressioni?".

"Un semplice sorriso è stata la sua risposta". A giudizio di Falasca, l'uso di tali formule da parte del papa "in termini letterari si chiama 'pastiche', che è appunto l’accostamento di parole di diverso livello o di diverso registro con effetti espressionistici. Lo stile 'pastiche' è oggi un tratto tipico della comunicazione del web e del linguaggio postmoderno. Si tratta dunque di associazioni linguistiche inedite nella storia del magistero petrino".

In un editoriale del 23 aprile sul quotidiano della conferenza episcopale italiana "Avvenire", Falasca ha avvicinato l'oratoria di papa Francesco al "sermo humilis" teorizzato da sant'Agostino.

Papa Bergoglio introduce questo stile anche nelle omelie e nei discorsi ufficiali. Ad esempio, nell'omelia della messa crismale del Giovedì Santo, nella basilica di San Pietro, ha molto colpito il suo esortare i pastori della Chiesa, vescovi e preti, a prendere "l'odore delle pecore".

Un'altro tratto tipico della sua predicazione è l'interloquire con la folla, sollecitandola a rispondere in coro. L'ha fatto per la prima volta e ripetutamente al "Regina Coeli" di domenica 21 aprile, ad esempio quando disse: "Grazie tante per il saluto, ma anche salutate Gesù. Gridate 'Gesù' forte!". E il grido "Gesù" salì effettivamente da piazza San Pietro.

La popolarità di papa Francesco è dovuta in buona misura a questo suo stile di predicazione e alla facile, diffusa fortuna che hanno i concetti su cui egli più insiste – la misericordia, il perdono, i poveri, le "periferie" – visti riflessi nei suoi gesti e nella sua stessa persona.

È una popolarità che fa velo alle altre cose più scomode che egli pure non manca di dire – ad esempio con i suoi frequenti richiami al diavolo – e che dette da altri scatenerebbero critiche, mentre a lui si perdonano.

In effetti, i media hanno sinora coperto di indulgenza e di silenzio non solo i riferimenti dell'attuale papa al diavolo ma anche tutta una serie di altri suoi pronunciamenti su punti di dottrina tanto capitali quanto controversi.

Il 12 aprile, ad esempio, parlando alla pontificia commissione biblica, papa Francesco ha ribadito che
"l'interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma dev’essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa". E quindi "ciò comporta l'insufficienza di ogni interpretazione soggettiva o semplicemente limitata ad un’analisi incapace di accogliere in sé quel senso globale che nel corso dei secoli ha costituito la tradizione dell'intero popolo di Dio".
Di questa frustata del papa contro le forme di esegesi prevalenti anche in campo cattolico praticamente nessuno si è accorto, nel silenzio generale dei media.

Il 19 aprile, nell'omelia mattutina, si è scagliato contro i "grandi ideologi" che vogliono interpretare Gesù in una chiave puramente umana. Li ha definiti
"intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla".
Anche in questo caso, silenzio.

Il 22 aprile, in un'altra omelia mattutina, ha detto con forza che
Gesù è "l'unica porta" per entrare nel Regno di Dio e "tutti gli altri sentieri sono ingannevoli, non sono veri, sono falsi".
Con ciò ha quindi ribadito quella verità irrinunciabile della fede cattolica che riconosce in Gesù Cristo l'unico salvatore di tutti. Ma quando nell'agosto del 2000 Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger pubblicarono proprio su questo la dichiarazione "Dominus Iesus" furono contestati aspramente da dentro e fuori la Chiesa. Mentre ora che papa Francesco ha detto la stessa cosa, tutti zitti.

Il 23 aprile, festa di san Giorgio, nell'omelia della messa con i cardinali nella Cappella Paolina ha detto che
"l’identità cristiana è un’appartenenza alla Chiesa, perché trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile".
E anche questa volta, silenzio. Eppure la tesi secondo cui "extra Ecclesiam nulla salus", da lui riaffermata, è quasi sempre foriera di polemica…

Questa benevolenza dei media nei confronti di papa Francesco è uno dei tratti che caratterizzano questo inizio di pontificato.

La soavità con cui egli sa dire le verità anche più scomode agevola questa benevolenza. Ma è facile prevedere che prima o poi essa si raffredderà e lascerà il passo a un riaffiorare delle critiche.

Una prima avvisaglia si è avuta dopo che papa Bergoglio, il 15 aprile, ha confermato la linea severa della congregazione per la dottrina della fede nel trattare il caso delle suore degli Stati Uniti riunite nella Leadership Conference of Women Religious.

Le proteste che si sono subito levate da queste suore e dalle correnti "liberal" del cattolicesimo non solo americano sono suonate come l'inizio della rottura di un incantesimo.

Navighiamo a vista cogliendo segnali inquietanti sulle unioni omosex e sulla Liturgia

Il 24 aprile scorso, interrogato dai giornalisti, Padre Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, ha affrontato varie questioni tra cui l'attualità politica francese. Così riferisce Zenit:
Da noi interpellato per una sua valutazione dell’approvazione parlamentare definitiva da parte dell’Assemblea nazionale francese della rivoluzione antropologica in materia di famiglia, padre Lombardi ha risposto che “è buona cosa che un bambino sappia che ha un padre e una madre”: si deve “chiaramente evidenziare che il matrimonio tra un uomo e una donna è un’istituzione specifica e fondamentale nella storia dell’umanità. Ciò non toglie che si possano riconoscere in qualche modo altre forme di unione tra due persone”.... Per quanto riguarda eventuali reazioni papali, “è il Papa che deve parlare, lascio parlare lui”.
[...] Ancora padre Lombardi pensa che il Papa non abbia tra i suoi interessi più importanti la musica sacra. Dal che possono derivare conseguenze varie in ambito liturgico.
Affermazioni a dir poco inquietanti:
  • la prima evoca gli echi sinistri delle dichiarazioni di Piero Marini, peraltro da nessuno riprovate né in Vaticano (ma se persino Padre Lombardi può esprimersi in questi termini c'è poco da stare allegri!) né da parte dei vaticanisti più in auge. Si tratta di una cosa seria, assolutamente non sottovalutabile considerata la fonte da cui proviene che non può non essere in sintonia col Papa;
  • la seconda, mette a serio rischio non solo al risacralizzazione della Liturgia iniziata da Papa Benedetto, ma anche la piena cittadinanza del Rito usus antiquior e la sua prerogativa di bimillenario autentico culto a Dio e di perfetta aderenza a quanto il Signore ci ha consegnato.
Da alcune avvisaglie già note, compresa la disattenzione, per non parlare del pauperismo dissacratore, che appare congeniale al nuovo Papa in ambito liturgico, il problema è inquadrabile anche in un già registrato invito da parte del Papa stesso - riferito per ora e per quanto a noi noto soltanto ad un prelato - a non celebrare la Messa secondo il rito tridentino. Il fatto, inserito nel contesto che si va consolidando e nella dichiarazione di cui sopra, è grave e sembra seguire una tattica modernista, quella della prassi: senza abolire o modificare le leggi ecclesiastiche, praticamente si continua a rendere introvabile la Messa di sempre. È quello che in realtà capitò all'epoca della Riforma liturgica di Paolo VI. Sostanzialmente si tratterebbe di un passo indietro di fronte al Summorum, sempre più vanificato de facto se non de iure. Dunque ostacoli in vista non più solo a livello diocesano? Speriamo di essere smentiti. 

Ci sono notizie, che potrebbero apparire di segno opposto, ma che contengono non poche incognite conoscendo l'humus ambivalente nel quale si muove il vescovo promotore (uno di quelli che appaiono tradizionali, ma vanno a farsi evangelizzare in Galilea dall'iniziatore del cammino neocatecumenale: l'immagine a lato è ripresa da un'intervista che contiene la sua testimonianza al riguardo) nonché l'humus prettamente modernista della maggioranza dei vescovi e dei teologi che hanno voce in capitolo. Si tratta di un imminente convegno, Sacra Liturgia 2013, promosso a Roma per il prossimo giugno dal vescovo di Tolone, Mons. Rey, nel quale si parlerà di Nuova  Evangelizzazione fondata sulla dignità della liturgia, e della conseguente necessità di una buona formazione liturgica. Ben detto: resta l'incognita di chi ne prenderà le redini... Comunque le celebrazioni della Santa messa e dei Vespri saranno nella basilica di Sant'Apollinare e nelle due forme del rito romano. Anche qui è tutto da vedere; ma la navigazione a vista continua, con l'unica bussola certa del Concilio dal quale sembra essere scaturita la rifondazione, piuttosto che un aggiornamento, della Chiesa, senza che peraltro molte coordinate ormai identificate, completamente fuori squadra, vengano riconosciute o motivate in alcun modo: sono semplicemente imposte da una prassi-bulldozer. E noi? Resistere e pregare sembra ormai il nostro motto.

domenica 28 aprile 2013

«Omnia mea mecum porto». Luigi Grignion de Monfort, «ad Jesum per Mariam»

Cum vidisset ergo Iesus matrem, et discipulum stantem, quem diligebat, dicit matri suae: Mulier ecce filius tuus. Deinde dicit discipulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accepit eam discipulus in sua. (Gv 19, 26-27)
Questo brano del Vangelo di Giovanni ci introduce nella nostra stupenda realtà - nostra eredità accolta e vissuta per grazia e desiderio di fedeltà - di discepoli amati dal Signore. Sottolineo quel "in sua", che richiama il fatto storico che il discepolo accolse la Madre nella sua casa, ma anche la realtà spirituale che vede la Madre presente e operante nell'intimità più profonda del suo essere: sua rappresenta tutto ciò che appartiene alla persona materialmente e spiritualmente. Ricordo, poi, che suis, in relazione al Signore, designa i discepoli, coloro che oltre a seguirlo ne condividono la vita e gli appartengono. 

Questa premessa per introdurre l'articolo di oggi, in cui ricorre, per volontà di Giovanni Paolo II - che ne volle il nome inscritto nel Calendario generale della Chiesa - la Festività di San Luigi-Maria Grignion de Montfort(*). Avevo già pubblicato l'articolo che Cristina Siccardi ha dedicato al grande santo ed alla sua «Preghiera infocata», destinata particolarmente ai sacerdoti, rendendo disponibile il testo della preghiera. Ripropongo oggi un altro testo, per la corrispondenza delle difficoltà del tempo che viviamo rispetto a quelle che il santo dovette affrontare e fronteggiare con la sua preghiera e azione. C'è in esso molto da attingere, meditare e applicare. E dunque desidero condividerlo con voi come nutrimento spirituale del quale abbiamo tutti un grande bisogno. Il brano che segue è tratto dal Trattato della vera devozione alla Santa Vergine e Il segreto di Maria, Ed. Paoline 1987, pagg. 52-58. Le note copiose e i relativi riferimenti mostrano quanto esso sia intriso di Sacra Scrittura. Notiamo un linguaggio che può apparire inusuale rispetto alle banalizzazioni alle quali gli ultimi 50 anni ci hanno abituati; ma un cuore e una mente aperti e accesi dal desiderio di conoscere e amare sempre più il Signore non possono che riconoscere e accogliere la potente efficacia delle verità che il testo contiene e trasmette.
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(*) San Luigi Maria Grignion da Montfort Sacerdote - 28 aprile - Memoria Facoltativa
(Montfort, Rennes, Francia, 1673 - St. Laurent-sur-Sèvre, 28 aprile 1716)
Luigi-Maria percorse le regioni occidentali della Francia, missionario per ordine di Clemente XI all’epoca dei razionalisti e dei libertini, del deismo e del giansenismo, dell’attacco contro le credenze tradizionali, soprattutto in Francia. Predicava il mistero della Sapienza eterna, Cristo incarnato e crocifisso e insegnava ad andare a Gesù per mezzo di Maria. Associò sacerdoti e fratelli alla propria attività apostolica e scrisse le regole dei Missionari della Compagnia di Maria. Fu proclamato santo da Pio XII il 20 luglio 1947. Tra i suoi scritti si ricordano il "Trattato della vera devozione alla Santa Vergine" e "L'amore dell'eterna Sapienza". (Mess. Rom.)

sabato 27 aprile 2013

«Ci si può chiedere se l'onnipresenza mediatica del Papa non contribuisca a distrarre o raffreddare la fede del cattolico»

Il fenomeno della sovraesposizione mediatica del nuovo Papa, nella sua oggettiva evidenza, non ha colpito e non colpisce solo noi. Osserviamo altre voci "fuori dal coro" anche in altri paesi. 
Oggi traduco e riporto un articolo di fonte argentina, ripreso dal Blog francese Riposte Catholique, che lo introduce con una riflessione di cui inserisco la parte conclusiva per condividerla come premessa. A chi legge il francese consiglio di consultare anche la parte che precede, ugualmente interessante, con considerazioni altrettanto pertinenti.

« ...Oggi al contrario – sotto un falso pretesto di umiltà e di povertà – i prelati sembrano rivalizzare in ingegnosità per sottrarsi agli onori dovuti alla funzione che assumono e si rifiutano di pontificare : alle cattedre preferiscono ordinari seggi e al posto dei ricchi ornamenti che magnificano la grandezza dell'episcopato preferiscono mitre semplici e casule di tessuto scadente; ... e ciò non è sano.
È la perdita del senso della funzione gerarchica pressoché sistematicamente sminuita attraverso la rimozione degli onori che le sono dovuti, degenerato spesso nel culto della personalità  nei confronti di colui che ricopre la funzione. 
È una cosa moralmente esecrabile. È una cosa rovinosa tanto per le istituzioni quanto per la salute psicologica e spirituale delle persone. 
Nella Chiesa si è introdotta un'infatuazione superficiale e sentimentalista che nulla ha più a che vedere col soprannaturale né con la sana riverenza dovuta all'autorità: nei secoli di fede, quando appariva il Sommo Pontefice, si faceva silenzio e ci si inginocchiava per ricevere la benedizione del Vicario di Cristo che passava, ieratico; ora il Papa moltiplica i suoi giri di pista, i saluti, i sorrisi, i bacini come le starlettes e passa senza più benedire le folle che si agitano ed emettono gridi, di cui ci si può perfino chiedere se provengono da esseri dotati di ragione, tanto l'emozionalità e l'intrattenimento collettivo sembrano prevalere. 
Coincide con le nostre riflessioni il seguente testo di uno dei nostri fedeli amici che vive in Argentina».
Il Telepapa

L'esposizione mediatica del Papa è un fenomeno che può sembrarci ‘normale’, e che in effetti appartiene all'attuale fase storica ; ma questo fenomeno è così spettacolare che inevitabilmente tocca la vita dei cattolici, se non nella sostanza della loro fede, per lo meno nel loro modo di viverla. Nel corso dei secoli un cattolico poteva tranquillamente morire senza nemmeno sapere chi fosse il Papa di Roma; oppure sapendolo soltanto in modo approssimativo, ignorando se egli fosse grasso o magro, alto o basso, taciturno o chiacchierone, fine teologo o rustico pastore. Durante i secoli, sapere che a Roma ci fosse un uomo che era il Vicario di Cristo in terra, che quest'uomo, la cui successione è certa, custodiva il deposito della fede che professava, ricevuta dagli avi, era sufficiente per un cattolico. Son trascorsi secoli durante i quali un cattolico viveva la sua fede nella preghiera, nella frequentazione dei sacramenti e nella celebrazione comunitaria; ove non riceveva insegnamenti che dal suo curato, troneggiante nel suo pulpito, e dai suoi antenati nel calore del focolare domestico. È così che sono andate le cose dalla fondazione della Chiesa fino a pochi secoli fa, che furono i secoli d'oro della Cristianità.

Prima dell'inizio di questa fase mediatica della storia, ce n'è stata un'altra, intermedia, durante la quale la diffusione della stampa permetteva ad un cattolico curioso di conoscere le prese di posizione dei papi sulle questioni di fede e di costumi, attraverso le loro encicliche: ma anche, quando era il caso, le difficoltà incontrate dal papato nel consesso politico internazionale. In quest'epoca, un cattolico conosceva l'effige del Papa attraverso le riproduzioni e, se era un avido lettore di giornali e riviste, poteva farsi un'idea sommaria delle linee maestre del suo pontificato. Ma la stragrande maggioranza dei cattolici restava ignorante di simili particolarità, vivendo ancora la sua fede in maniera tradizionale: in comunione con gli altri fedeli della sua contrada ed ascoltando gli insegnamenti del suo curato, fosse egli santo o di costumi rilassati o perfino dissoluti – caso che appariva molto triviale al cattolico ordinario: perché sapere che, santo o libertino, quel curato, mentre celebrava la messa, era 'un altro Cristo' era per lui sufficiente.  Era un'epoca in cui le istituzioni restavano al di sopra delle persone che le incarnavano.

Ma è arrivata questa fase mediatica della storia e tutto si è disorganizzato. Ecco che di colpo il Papa è diventato una figura onnipresente; e il cattolico ordinario ha cominciato a conoscere di lui cose intime inaudite: se soffre di gotta o è calvo; se ama il calcio o gli scacchi; se è austero o amante della pompa nel suo modo di vestire; che tipo di scarpe calza; sa ama sfoggiare un copricapo da musicista ambulante o il tricolore ricevuto in dono da fedeli durante un'udienza, oppure se rifiuta un onore così dubbio. Si considera che conoscendo queste insolite intimità il cattolico possa amare di più il papa, che questi in tal modo diventi più «umano», più «vicino» e «accessibile». Discorsi quanto mai grotteschi dal momento che il Papa non ha sulla terra altra missione che essere il vicario di Cristo e che, per avvicinare Cristo, per renderlo più «umano», «vicino» e «accessibile», è Cristo stesso che ci dona la ricetta:  «Perché avevo fame e mi avete sfamato: avevo sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete dato rifugio... ecc.». Non è conoscendo le intimità insolite del Papa che il cattolico avvicina Cristo, ma soffrendo con i piccoli nei quali Cristo si nasconde.

Ci si può domandare se, di rimando, questa onnipresenza mediatica del Papa non contribuisca a distrarre o a raffreddare la fede del cattolico. Ci si può chiedere se il continuo controllo mediatico del Papa, non soltanto nelle sue prese di posizione su questioni che riguardano la fede e i costumi, ma nelle più svariate banalità quotidiane, non generi una sorta di 'papolatria' del tutto estranea alla tradizione cattolica, e che spesso rasenta il fenomeno ‘fan’ provocato da cantanti, calciatori e attori. Ci si può domandare ancora se questa esposizione mediatica talmente abusata non generi una distorsione nella trasmissione della fede. Perché se Cristo avesse desiderato che la fede fosse trasmessa ‘alla grande’ avrebbe immediatamente inventato il porta-voce, la radiofonie, i ripetitori, l'ADSL, la televisione digitale e le reti sociali di Internet ; ma, pur potendo farlo, preferì che la fede fosse trasmessa nel calore umano, attraverso piccole comunità che crebbero grazie alla testimonianza personale e insostituibile, cuore a cuore, dei propri discepoli. [Sostanzialmente qui deduco che il 'mezzo' non deve prevalere sul 'messaggio'. Anche se c'è chi ha detto (McLuhan) che il mezzo è il messaggio]
Juan Manuel de Prada

venerdì 26 aprile 2013

Pellegrinaggio Summorum Pontificum al Santuario della Madonna del Poggetto

Prossimo pellegrinaggio dei "Summorum Pontificum" dell'Emilia-Romagna, organizzato per il prossimo 19 maggio, presso il Santuario della Madonna del Poggetto (Ferrara) alla presenza dell'Arcivescovo S. E. Rev.ma mons. Negri.
Chi è interessato, può scaricare la Locandina.

Santa Sede - FSSPX. L'accordo non sarebbe stato una buona cosa

Si tratta di una riflessione ripresa da TradiNews. Certamente riguarda la Fraternità San Pio X, ma non è estranea a tutto quanto ha a che fare con la Tradizione in generale. Si fa riferimento all'atteggiamento di Benedetto XVI; ma il tutto può essere tranquillamente riposizionato nella nuova, ma in realtà non-nuova, situazione odierna. Sbocchi? Assolutamente imprevedibili.
Mi viene spontanea un'osservazione notando, se non sbaglio, un atteggiamento contrario in assoluto ad una "accettazione delle riforme" e penso che, se ci si riferisce al Concilio nel suo insieme, mi pare irrealistico prescinderne e non trovarvi elementi condivisibili. Assolutamente non condivisibile, invece è il cosiddetto "spirito del concilio", quello che Mons. Gherardini chiama, ben a ragione, il gegen-Geist (contro spirito) affermatosi grazie ad esso [vedi anche]. Questo non significa che dobbiamo attribuire ogni responsabilità solo ad una ritenuta falsa applicazione; ma che è necessario trovare una via d'uscita ai guasti perpetrati fino ad oggi con una rilettura sapiente dei documenti che permetta il risanamento dagli inquinamenti ben individuati - ritenuta possibile, per esempio, da Mons. Schneider. Effettivamente si sono dovute registrare alcune - più d'una - riforme problematiche. Ma forse la spiegazione sta proprio nell'uso, ed anche negli effetti, del termine "riforma".
In realtà nessun amante della Tradizione è di per sé chiuso agli "aggiornamenti" espressi anche attraverso "novità" che non ne tradiscano i principi, ma la trasmettano fedelmente ad ogni generazione. Del resto aggiornamento e non riforma era il termine usato da Giovanni XXIII in apertura del Concilio. Può essere utile ripercorrere questa riflessione di alcuni mesi fa che mette in luce il metodo soggettivista, già presente in precedenza e insinuatosi subdolamente, pur riconoscibile da alcuni segnali, che è più facile leggere ora, che ne avvertiamo gli effetti e gli sviluppi.
Faccio mia la seguente affermazione, il cui senso ho espresso in molte occasioni. La difesa della Tradizione non è un tornare indietro, ma un continuo trasmettere ciò che ci è stato donato, consegnato perché lo ritrasmettessimo integralmente. L'approfondimento dovrà sempre essere eodem sensu eademque sententia. La Tradizione non è un peso morto né qualcosa di sorpassato, perché contiene e trasporta la linfa vitale delle radici. Essa è, come ben scrive mons. Gherardini, la vita e la giovinezza eterna della Chiesa.

La mancata sottoscrizione dell'accordo non è un fallimento perché questo accordo non sarebbe stato una buona cosa: esso non avrebbe apportato nulla alla Chiesa, perché la situazione delle ED è quella che è e avrebbe fatto esplodere in volo la FSSPX che vi si era incamminata. Sarebbe stato un accordo da vittime, dottrinalmente confuso, che è la cosa peggiore, ma soprattutto, sarebbe sfociato in ciò che la FSSPX ha sempre rifiutato : mettersi sotto l'autorità di chiunque in una maniera o nell'altra volesse condurla all'accettazione delle riforme. 

Su questo punto, le autorità romane, sia il papa che i suoi collaboratori più prossimi, non si sono mai nascosti : lo scopo dichiarato e perseguito è l'accettazione del concilio e delle sue riforme da parte della FSSPX. E se le comunità ED malgrado tutte le vessazioni hanno potuto conservare il tesoro della tradizione è perché la FSSPX era la loro scappatoia. Ma quando non ci sarà più scappatoia, come agiranno coloro che hanno imposto d'autorità la rivoluzione nella Chiesa? Purtroppo non è molto difficile da indovinare...

Invece, ciò che Benedetto XVI ha fallito non è l'accordo, è la "regolarizzazione" canonica, perché niente gli impediva di dare unilateralmente uno statuto alla FSSPX, senza contropartita dottrinale. Se non l'ha fatto, mi sembra sia perché questo papa crede fermamente che il concilio Vaticano II è la bussola della Chiesa e deve impregnare la Chiesa intera,  e dunque non poteva concepire una regolarizzazione senza accettazione a termine almeno parziale ed effettiva del Concilio, e vedeva l'integrazione della FSSPX nella instabilità conciliare come mezzo per controbilanciarne  le velleità troppo progressiste.

Non è che l'ermeneutica della riforma.

giovedì 25 aprile 2013

Animus meminisse horret

Pubblico questo intervento della nostra Luisa. Faccio mia ogni sua parola e non ne aggiungo, tranne che per osservare che si tratta del lezzo nauseabondo evocato da Piero Marini, ma per nulla eliminato...

Si fa fatica a finire di leggere l`articolo tanto si susseguono frasi subdolamente menzognere, ingiuste, o semplicemente false, sopporto molto male che si nomini Papa Benedetto quando lo si fa unicamente per esaltare l`aria nuova, il clima nuovo che respireremmo con il suo successore.

Sul "consiglio della corona", tra peana clerical-pop e timori e incertezze

Inserisco di seguito un articolo di Mattia Rossi, redattore della rivista «Liturgia culmen et fons». Esso è apparso alcuni giorni fa su Il Foglio, che ha pubblicato altri interessanti articoli dello stesso autore, tra cui, il 4 aprile scorso: La Liturgia non può essere povera.
Sostanzialmente Mattia Rossi afferma e argomenta perplessità da noi già espresse. Lo riprendo perché è apparso oggi su Messa in Latino, preceduto da un commento un po' sopra le righe, che rischia di danneggiare l'autore ancor più della sorprendente per non dire esagerata e inopportuna stroncatura di Tornielli, pubblicata sul suo blog. C'è da aggiungere che non manca un precedente, sempre nei riguardi di Mattia Rossi, sui "segnali di discontinuità" dati dal nuovo papa. Sono rammaricata che la ricerca su google offra solamente rinvii agli articoli di Tornielli moltiplicati anche da diversi blog anche stranieri come "ripetitori", senza poter risalire agli originali di Mattia Rossi da lui stroncati. Sarei grata a chi sappia recuperarne i link o disponga dei testi.
Colpisce piuttosto che la segnalata sottolineatura venga fatta in simultanea ad un articolo nel quale Tornielli riporta invece, senza alcun commento, le dichiarazioni del vescovo Piero Marini circa le unioni di persone dello stesso sesso [di cui abbiamo parlato qui]. Evidentemente i rischi di demolizione della Chiesa dal suo interno non toccano più di tanto uno dei vaticanisti più gettonati anche all'estero. 
Cito la conclusione:
È sempre difficile fare previsioni, e con queste poche righe non intendo certo depotenziare la portata delle critiche messe in pagina dal «Foglio». Mi limito soltanto a dire, sommessamente, che il papato, essendo già sopravvissuto alla «novità epocale» del 1288, forse sopravviverà anche alla «novità epocale» del 2013.
Tornielli, prima lancia il sasso poi si dichiara sommessamente tranquillo sulla sopravvivenza del papato alla novità epocale del 2013, alla stregua della sopravvivenza dello stesso alle “novità epocali” del 1288… A parte la totale assenza di argomentazioni e il confronto non appropriato tra i due eventi innovativi sulla base della realtà statuale del papato di allora, mi chiedo la ragione di questa 'gogna mediatica' imposta ad una delle voci "fuori dal coro". [Del resto conosciamo le sue bordate]

mercoledì 24 aprile 2013

Il rosario e le "sentinelle nella notte"

Ecco un estratto, che traduco da Vigilant dans la nuit : Chi veglia nella notte, al fine di alimentare la riflessione delle Sentinelle. Non riesco più a risalire alla fonte francese che lo ha selezionato, ma ho trovato il link cui rimando.

Per cedere al materialismo, bisognerà abbandonare la santa Vergine Maria, la sua maternità su noi tutti, l'esempio della sua purezza e la potenza della sua protezione? Bisognerà abbandonare la causa della nostra letizia? No. In confronto a tutto ciò che diminuirebbe la nostra devozione materiale, la nostra difesa e il nostro rifugio saranno immediati, assoluti. Dite che siamo naif, puerili, superstiziosi, irrazionali, arretrati e tutto il resto. Che c'importa! Almeno, saremo consapevoli; e saremo ipersensibili per riconoscere ogni depauperamento della nostra devozione, e vigilanti per compensarlo. Ogni volta che dei potenti hanno voluto relegare la Santissima Vergine nella sacrestia, tutto il popolo cristiano ha fatto immediatamente in modo di raggiungerla. Quanto mi piace questo istinto profondo che prende i fedeli attraverso le fibre più umane del loro cuore. Perché il culto della Santa Vergine costituisce il nostro bastione avanzato. Abbandonarlo darebbe la stura ad ogni difetto; al contrario, la sua salvaguardia assicura la tenuta stagna di ogni dispositivo di difesa.

Ho sentito sacerdoti dire – con un certo imbarazzo ma lo dicevano lo stesso: «Il rosario è una preghiera meccanica, quali l'equivalente di un mulino di preghiera ; né peggiore né migliore.» Certamente, criticare questa devozione non costituisce una manifestazione diretta di ateismo. Tuttavia, se alcuni vogliono in questo modo toglierci la scala per il paradiso, essi agiscono contro al nostra vita con Dio. Coloro che scalzano un contrafforte non hanno forse l'intenzione di far crollare tutto l'edificio?

Ammettiamo che il rosario sia una sorta di mulino di preghiera. Ebbene, noi amiamo questo mulino, ecco tutto! In un'epoca in cui tanti uomini accettano la schiavitù della macchina, diciamo felici  gli schiavi di questa meccanica. Perché il suo ritmo è umanizzante e divinizzante. Vogliamo dunque qualificarci tra gli operai di questo mulino. Il più spesso possibile, il nostro cuore imporrà questa macinatura alle nostre labbra. La santa Vergine, che una volta faceva il pane per la famiglia , accetterà la farina del nostro mulino come un omaggio familiare. Inoltre, con la farina che le offriamo, essa nutrirà numerosi poveri sulla via del paradiso. Lasciateci dunque amare queste cose umili, poiché le comprendiamo.

Pensare che la preghiera le cui formule si ripetono sempre le stesse divenga una preghiera meccanica, ecco un giudizio di cristiani i quali non pregano che raramente.  Coloro che non pregano se non quando li spinge una necessità, costoro hanno ogni volta qualcosa d'altro da chiedere: questa volta, essere preservati da un lutto, quest'altra essere guariti da una malattia; e così di seguito. La loro attenzione, per non dire il loro cuore, si fissa più sul soccorso implorato che su Dio che implorano. Al contrario, colui che prega molto, si rivolge a Dio soprattutto per rendergli il dovuto ed essergli attualmente unito. Dio occupa la sua attenzione ben più che il dettaglio dei benefici da chiedere. Ora, i nostri doveri verso Dio, sono sempre gli stessi, e le condizione dell'unione con lui non cambiano. Così colui che prega molto ridice di preferenza le stesse formule.[1]

Queste sottolineature, che valgono in generale per la preghiera rivolta a Dio, valgono altrettanto per quella rivolta alla Vergine Maria. Ben lungi dal condurre ad una meccanizzazione della preghiera, le ripetizioni moltiplicate dall'intelligenza, aumentano l'esperienza acquisita. Colui che prega così arriva ad una grande profondità, sia nel senso che si allaccia alle stesse formule, sia nella sincerità dei sentimenti che esse esprimono. Non confondiamo «cadere nell'automatismo» con «aver pratica». Coloro che hanno pratica, esperienza, operano con grande calma, ben diversa dal lavoro meccanico. Essi sono consapevoli di ciò che fanno e contenti di farlo bene. Ripetere il Rosario, significa acquistare pratica, esperienza. 
(...)
«Quando recita il rosario, pone la sua attenzione nelle parole "Ave, Maria", o medita sui quindici misteri?»
Dipende. In alcuni momenti, amo aggiungere alle parole la visione successiva dei differenti misteri. In altri, preferisco soffermare la mia attenzione alle stesse parole «Ave, Maria», parole che contengono abbastanza misteri per cui non sento il bisogno di aggiungerne[2].
(...)
«Perché, durante un'esistenza umana, dire migliaia di "Ave, Maria"? Che importanza, quale utilità ciò può avere ?»
Ecco. È certamente di eccezionale importanza che una creatura sia stata scelta da Dio per divenire sua Madre e la Madre di tutti gli uomini. D'importanza eccezionale è anche che noi approfittiamo di questo disegno di Dio, e che ricorriamo a colei le cui prerogative le donano potere di intercedere in nostro favore. Aggiungo che questo piano divino, che eleva una semplice creatura così in alto nel soprannaturale, è una misericordiosa sfida lanciata all'ateismo. Ammettiamo che gli atei abbiano una parvenza di ragione nel prendersela con un maestro onnipotente, a causa delle  miserie della condizione umana. Ammettiamo che la loro ribellione abbia una parvenza di scusa. Ma nulla di tutto questo ha a che fare con la Vergine Maria, e come rifiutare di lasciarsi attirare da lei? Poiché questa semplice creatura, non la si può ritenere responsabile del «male fatto»; In quanto madre, essa è la vergogna del rancore.

In più, nella nostra epoca di materialismo, la devozione mariana ha un'importanza nuova, come protesta. Infatti, nella Vergine santa, troviamo una perfezione e una felicità che non le vengono dalle forze materiali, né dall'evoluzione, né dal caso, ma unicamente dalla generosità di un Dio che è una persona.   Ora, niente è così soprannaturale quanto la grazia; e niente rifiuta il materialismo quanto il soprannaturale. Onorando la santa Vergine Maria a causa delle grazie da lei ricevute, noi scegliamo dunque di amare un altro ciclo di valori rispetto a quelli materiali; poniamo noi stessi fuori dal materialismo, rifiutando di avervi a che fare. E allora, il mondo utilizzi sempre più la costrizione, volgendoci alla Vergine, noi onoriamo la libertà e la gratuità dei doni di Dio.
(...)
Colei che riunisce nella sua persona i titoli di Vergine e di Madre, che simboleggiano la dolcezza, la tranquillità, la pace, ispira ai suoi devoti un sorprendente spirito d'offensiva in vista del regno di Dio. Gli avversari della religione temono i suoi fedeli, e ne sono le ragioni. Ogni cristiano che si sente disposto ai grandi combattimenti in effetti adotta una forte devozione mariana. L'espressione «temibile come battaglioni» (Ct 6, 10) che secondo la Tradizione si applica alla santa Vergine Maria, è certamente giustificata. Troviamo anche qui una di quelle intuizioni del cuore cristiano, che vede più in là delle apparenze.

Ed anche, nella fucina ben costruita della paganizzazione, quella delle civiltà e quella degli uomini, introdurrò la mia preghiera, e soprattutto la mia preghiera alla vergine Maria, come l'elemento imponderabile che cambia le concatenazioni e sconvolge le previsioni. Con il rosario, poniamoci come la minuscola causa che blocca poi disgrega le brutali coalizioni materialiste. Introduciamolo, granello di sabbia che inceppa la grossa macchina. La nostra duna che blocca l'invasione delle cavallette. Anche se fossimo noi, rispetto al gran numero degli uomini, solo cento mila a pregare così ; anche se fossimo cento e dici ; anche se fossimo solo tu ed io, ne varrebbe la pena."

p.88-92
VIGILANT DANS LA NUIT Père Jérome
Abbaye Notre-Dame de Sept-Fons.
Editions Saint Augustin
______________________________
Note mie
1. Non trascurando che le preghiere, cosiddette ripetitive per eccellenza: l'Ave Maria, il Pater noster e il Gloria Patri, oltre a venirci dalla Tradizione millenaria, sono anche brani di Vangelo. L'Ave Maria nella prima parte ricapitola come meglio non si potrebbe la chiamata avvenuta nella pienezza dei tempi che ha portato a compimento al Storia di Salvezza che stiamo percorrendo. In più lo fa con la Parola di Dio, meditando la quale siamo immessi in quella realtà sublime e unica che si attualizza per noi. Pensiamo poi a come, solo nel dire Madre di Dio, la nostra invocazione condensa e riconosce la sua maternità verginale e la divinità del Signore, per poi chiedere la sua potente intercessione per il momento presente e per quello decisivo della vita terrena. Il Pater noster ci è stato consegnato direttamente dal Signore e proviene da suo cuore e dalla sua conoscenza unica del Padre e della sua volontà; e dunque racchiude tesori indicibili della realtà divina, di ciò che opera in noi e per noi nonché della risposta che ci è chiesta. Il Gloria Patri ricapitola il riconoscimento e la lode della SS. Trinità da oggi e da sempre e per sempre. Cosa di più e di meglio possiamo e dobbiamo dire e custodire, lasciandoci plasmare contemplando? I soloni dissacratori non le cancelleranno mai!
2. Di volta in volta si accendono delle luci, sia attraverso le parole (e i significati profondi) delle "formule", sia attraverso i vari Misteri "contemplati".

martedì 23 aprile 2013

Un Motu proprio è una legge della Chiesa

Traduco da Le Forum Catholique. Riguarda i timori in ordine alla possibilità di abrogazione del  Motu proprio Summorum Pontificum.

Il motu proprio è una legge che procede direttamente dal papa, e che non è controfirmata.

Ma è pur sempre una legge : si applica partire dalla sua edizione, in maniera universale e finché non è abrogata. Il motu proprio "Summorum Pontificum" del 2007 sarà dunque sempre in vigore, fintantoché non dovesse essere abrogato. Il che però non impedisce di frenare le sue modalità di applicazione, attraverso delle istruzioni, per esempio. [Di questo abbiamo parlato qui]

Sulla questione, il discorso è un po' più complicato. Il motu proprio del 2007 in effetti non fa che riconoscere che la messa di San Pio V non essendo mai stata abrogata, è sempre in vigore (articolo 1) :
« Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa ».
Conseguentemente, per abrogare il motu proprio, bisognerebbe abrogare il messale del 1962. Ciò che, oggi, è pressoché impossibile. Su questo punto, i tradizionalisti hanno vinto una ben dura battaglia (Ciò che ho appena citato è parola per parola la posizione di Jean Madiran e d'Itinéraires, all'epoca vivamente condannata).

Al di là di tutto, c'è qualcosa che non si può abrogare ed è che "Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso" (Benedetto XVI). Non si può abrogare lo spirito del Summorum Pontificum, perché è fortemente radicato nella coscienza che la Chiesa ha di se stessa.

lunedì 22 aprile 2013

Bergoglio, il matrimonio omosessuale e le unioni civili

Aggiornamento: per completezza d'informazione, devo dire che qui ho trovato un commento critico nei confronti del Papa Francesco niente meno che da parte del Grande Oriente democratico, con tanto di citazione di segno opposto a quello indicato dalla nostra fonte.

Disponiamo di una fonte sufficientemente attendibile per conoscere gli orientamenti del nuovo papa sui temi etici che abbiamo affrontato negli ultimi articoli. Speriamo che non tardi una smentita dalle sue stesse parole che prima o poi dovranno essere pronunciate.

Il 19 marzo, il New York Times ha dato notizia che quando, nel 2009/10, l'Argentina si preparava ad un aspro dibattito nazionale sul matrimonio omosessuale, Bergoglio favorì con calma una soluzione di compromesso che ammetteva le unioni civili per le coppie dello stesso sesso.
La fonte sull'argomento era un giornalista argentino, Sergio Rubin, co-autore con Francesca Ambrogetti d'un libro intervista con Bergoglio intitolato Il Gesuita. (Ho incontrato Ambrogetti quando ero a Buenos Aires. Mi ha detto in dettaglio che erano occorsi anni per convincere Bergoglio, notoriamente restio ai media, ad accettare l'intervista.)
La versione di Rubin è stata prontamente smentita da Woites Miguel, direttore de l'Argentinian Catholic Information Agency, un media legato all'arcivescovato di Buenos Aires. Woites insiste che Bergoglio non avrebbe «mai» favorito un riconoscimento giuridico delle unioni dello stesso sesso e insiste che ciò che afferma il NYT è « totale errore».
Su questo punto, tre diverse fonti argentine mi hanno detto che il NYT in realtà aveva visto giusto: Bergoglio era effettivamente favorevole alle unioni civili.

Mons. Luigi Negri. Finalmente una voce sull'equivoca tolleranza da parte dei cattolici in ordine alle questioni etiche

Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, ha inviato una lettera al Direttore de Il Foglio nella quale indica i vari problemi che attraversano la nostra Società. E' uno dei casi sempre più rari in cui un pastore si fa anche maestro per indicare gli atteggiamenti e i comportamenti retti, e i loro fondamenti, di fronte alle sfide del nostro tempo. Ne riprendo il testo pubblicato da Riscossa cristiana.

Dal revival di idee del primo hitlerismo alle leggi sulle unioni gay 
"Non è giusto continuare in un'equivoca tolleranza".
Né per i cattolici, né per le persone ragionevoli

Carissimo direttore, poiché mi trovo quasi sempre d’accordo con le tue posizioni dal punto di vista cultural-politico, mi permetto di farti avere delle osservazioni che sento assolutamente necessario, in coscienza, formulare e pubblicare. Mi hanno indotto a questo anche due bellissimi articoli che ho letto recentemente sulla questione dell’assetto cultural- social-politico in questo momento tragicomico della nostra storia nazionale.

domenica 21 aprile 2013

Piero Marini apre alle coppie gay e conferma i nostri sospetti: il grande problema della chiesa era solo uno, Benedetto XVI!

Non è per farci del male: si tratta della dose giornaliera di modernismo propinataci dai media. Questa, nell'originale, viene dal Costa Rica. Incredibile che Andrea Tornielli riporti senza commenti, limitandosi a ricordare l'assonanza con l'analoga dichiarazione di Mons. Paglia.
Nel frattempo, Galeazzi su La Stampa di oggi scrive: "Si pensa ad una ricollocazione dell’ex maestro di cerimonie, Piero Marini come arciprete di San Pietro con il conseguente spostamento di Comastri al dicastero dei Santi". Ricordiamo tutti con raccapriccio i 'gusti' iconoclasti espressi nelle liturgie curate dall'ex cerimoniere di Giovanni Paolo II. Figure che tornano a galla...
Ho ripreso la notizia dal Blog di Raffaella. I Papi il Vaticano e la Chiesa cattolica. Oltre a quello che scrive Raffaella e che riporto di seguito, mi colpisce la frase: di risposta alla domanda: "Cos'ha significato per lei il cambio del Papa?". "Si respira un'aria fresca, è una finestra alla primavera e alla speranza. Finora abbiamo respirato acque putride, che mandano cattivo odore. Stavamo in una Chiesa che ha paura di tutto e problematica con la situazione dei VatiLeaks (filtraggio dei documenti della città del Vaticano) e la pedofilia. Con Francesco si parla solo di cose positive; egli mette avanti il positivo e parla di mantenere la speranza". Resta da chiedersi su cosa si fonda la speranza, così generica e sbandierata, se non si fa pulizia. Inoltre, quelle acque putride non create da chi le denunciava e voleva bonificarle, e sulle quali gli stessi media ora sorvolano, che fine hanno fatto? 

A parte la frase sul riconoscimento delle unioni omosessuali su cui non mi pronuncio perché è un problema che riguarda la coerenza della chiesa (e non certo la mia), mi permetto di insistere sul fatto che è un tantino "indelicato" parlare di nuova primavera dopo anni di paura.
Come se le nefandezze che abbiamo scoperto negli anni scorsi fossero colpa di Benedetto XVI.
Mi dispiace tanto per i vescovi, i cardinali ed i preti ma solo chi non usa il cervello può credere ad una cosa del genere.
Prima di tutto Benedetto XVI si è trovato a gestire ed a risolvere problemi non creati da lui e non nati sotto il suo Pontificato. I crimini commessi dai pedofili affondano le radici nei decenni precedenti al 19 aprile 2005 ma tutti (dai prelati ai mass media) se ne sono accordi solo dopo l'elezione di Ratzinger. Comodo!
E lo Ior? Ci siamo dimenticati di Marcinkus?
E Vatileaks? Quando Gabriele ha iniziato a trafugare le carte ed a passarle a qualche amico giornalista? Nel 2011? Enno'...per sua stessa ammissione ha messo le mani nella marmellata a partire dal 2006.
Chi ha consigliato la sua assunzione? Perché?
Forse per controllare che cosa Benedetto stava facendo? Forse per influenzare le sue scelte dopo che esse finivano sui giornali? Chissà...
Suvvia...non abbiamo tutti l'anello al naso, il prosciutto sugli occhi ed il salame negli orecchi.
Una cosa è certa: il mondo non ha meritato Benedetto XVI ma nemmeno la chiesa...anzi! Meno che meno questa chiesa!
R.

Quale comunione senza una fede comune?

Traduco da TradiNews. Resta aperto il problema della conclusione, perché non possiamo prescindere dalla Chiesa-visibile. Ed è chiaro che la nostra "comunione" non può che essere quella creata dal Signore e non dalle volontà umane, cioè quella dei "Suoi" in Lui. Riprendo qui le parole di Juan de San Mattia: "Il concetto di obbedienza - e dunque quello della comunione -, va visto alla luce della tradizione e non va vissuto infantilmente sulla scia dell'imitazione". Riconoscere l'autorità, implica anche la comunione. E tuttavia "dire: questo comportamento del Papa è in conflitto con la tradizione e quindi io mi riservo di non assecondarlo in coscienza e magari criticarlo, è cosa da persone ubbidienti in modo saggio. Tutto bisogna vagliare in questi tempi di crisi". Ovviamente quando questo comportamento non impegna l'infallibilità, cosa che il ricorso indiscriminato alla 'pastorale' sembra aver escluso da tempo. E questo resta il nostro discrimine che implica: resistere quando è necessario e pregare, partendo sempre dalla nostra conversione e fedeltà... 

Una delle grandi preoccupazioni dei cattolici sentimentali - o liberali - è di sapersi "in comunione" col papa. È un presupposto elementare, direbbero alcuni, ad ogni cattolico essere in comunione col Papa e con la Chiesa intera.

Però quanto spesso in molti utilizziamo un termine che acquista un significato diverso e la parola "comunione" nel suo concetto è un esempio della rivoluzione teologica messa in opera dal Concilio Vaticano II: alcuni teologi progressisti vi vedono il nodo centrale della nuova ecclesiologia conciliare.

Il Concilio ha voluto mettere l'Uomo al centro delle sue preoccupazioni, al centro della Chiesa, al centro della liturgia. Dio è causa e fine di ogni cosa, mentre la Chiesa è il mezzo che Dio dà all'umanità per realizzare la sua salvezza affidandole il deposito della Fede, Fede necessaria per la salvezza. Questo è il solo e unico scopo della Chiesa: trasmettere la Fede.

venerdì 19 aprile 2013

Ancora domande...

Continuo a ripetermi di tacere. Ho pensato perfino di smettere di scrivere sul blog; ma poi come si fa a tacere? Mi imbatto nell'ultimo exploit di Tornielli (cultura e grancassa egemone) che rende pubbliche considerazioni del card. Piacenza sulla crisi del clero. Sintetizza un testo di circa 200 pagine edito recentemente da Cantagalli, che occorrerà leggere per vedere se risponde alle domande che ho formulato alla fine, suscitate da questo articolo:
[...] Piacenza riconosce che «soprattutto nei primi decenni immediatamente successivi alla promulgazione della Presbyterorum ordinis, si sono cercate nuove forme di esercizio del ministero sacerdotale che fossero più rispondenti alle esigenze della cultura contemporanea e più efficaci dal punto di vista della missione. Tuttavia, tale ricerca ha purtroppo visto non pochi unilateralismi, che hanno occupato le menti ed i cuori di chi ha lasciato che i criteri del mondo entrassero nell’orizzonte della fede, trovandosi, così, più che con un mondo nuovamente evangelizzato, con una fede, e talvolta perfino con esperienze comunitarie, totalmente mondanizzate».
Il cardinale nel commento rileva come «ogni percorso di autentica riforma non può prescindere, nella Chiesa, dal fondamentale contributo dei sacerdoti. Se è vero che lo Spirito Santo è libero di disegnare, in ogni epoca, il volto della Sposa di Cristo, soprattutto suscitando santi, donne e uomini totalmente pervasi da Cristo e capaci, perciò, di evangelizzare con la propria stessa vita e di rinnovare la Chiesa e il mondo, non di meno, nel concreto e quotidiano esercizio del ministero pastorale, i sacerdoti declinano, per il popolo santo di Dio, quanto la Chiesa universale, ed in essa l’autorità suprema, indica come cammino di necessaria riforma». In questo non facile compito, osserva ancora il Prefetto del clero, «un criterio deve sempre prevalere: quello del bene delle anime. Su ogni possibile modo di attuazione di una riforma, deve sempre regnare sovrana la domanda: “Questo aiuterà la fede? Susciterà un più grande attaccamento a Cristo?"...
«Se questo semplice ed immediato criterio fosse sempre tenuto presente - afferma Piacenza - non ci sarebbero né pericolosi stravolgimenti dottrinalmente infondati, né nostalgici irrigidimenti di dubbia utilità missionaria».
Solo alcune domande:
  1. Quale riforma è ancora necessario fare e perché? Non basta la riforma liturgica di Paolo VI e tutti gli altri stravolgimenti? Sono in grado di vedere l'antropocentrismo di questa riforma e le conseguenze sulla lex credendi insieme a tutto il resto? 
  2. Chi prepara sacerdoti che, più che "declinare il cammino di una necessaria riforma" non meglio identificata, sappiano essere dei veri maestri e santificatori?
  3. La salute delle anime non è strettamente legata alla Fedeltà alla Verità che è il Signore?
  4. Chi ci preserva e ci garantisce - e come - da "stravolgimenti dottrinalmente infondati" e da "irrigidimenti di dubbia utilità missionaria"? Quali sarebbero e per quali motivi appartengono all'una o all'altra definizione?
  5. Perché questi discorsi generici, alla fine demagogici, senza mai specificare e motivare le pecche buttate lì, sembrerebbe, al solo scopo di difendere il mitico Concilio? Un esempio di bergoglite che fa scuola?
  6. Da verificare se attribuibile soltanto all'estensore dell'articolo o se non sia una tendenza inarrestabile.

Ci ristoriamo con buone notizie dal mondo

Riprendo da New Liturgical Movement di oggi:

Molti sono interessati a vedere l'usus antiquior in contesti culturali diversi dall'Europa occidentale e dal Nord America, ed ecco un Messale in latino-giapponese che Una Voce Giappone ha ristampato da un vecchio Messale latino-giapponese del 1950 fuori stampa, a suo tempo pubblicato dalla Società San Francesco di Sales.
Bello e confortante poter scoprire iniziative del genere in vari paesi e regioni del mondo.

Mons. Gherardini sul Magistero: recenti precisazioni

Introduzione

Monsignor Brunero Gherardini, nella Rivista Divinitas[1], è tornato a spiegare più dettagliatamente il problema del Munus docendi nella Chiesa, riguardo alle ultime discussioni sorte recentemente sulla questione dei rapporti tra Rivelazione e Magistero.

Porgo al lettore un adattamento ed un riassunto dell’ottimo articolo di mons. Gherardini, con qualche mia breve considerazione, ed invito caldamente allo studio del medesimo articolo.

Corpo dell’articolo

La parola Magistero indica il Potere di Insegnare, che Gesù ha lasciato alla Sua Chiesa ed anche l’Atto ed il Contenuto dell’Insegnamento della Chiesa in se stesso (p. 87).

Nella S. Scrittura (una delle due fonti della Rivelazione, assieme alla Tradizione) si trova la definizione di Magistero, specificatamente nel Vangelo secondo Matteo (XXVIII, 19): “Andate e fatevi Maestri di tutti i Popoli”, che alla lettera può esser tradotto: “Fate vostri discepoli tutti i Popoli” (p. 87), ossia “Sottomettete al vostro Magistero tutti i Popoli”.

giovedì 18 aprile 2013

Cristianesimo in pillole e indigestione da pletora informativa

Purtroppo non dispongo al momento se non del testo diffuso da Radio Vaticana (integrato da altri frammenti riportati dall'AGI) e della solita mediatica sua riduzione in "pillole" ammannite a mo' di slogan. Si tratta delle indicazioni del papa ai suoi "confratelli argentini nell'episcopato" riuniti in Assemblea Plenaria, con i quali si scusa per l'assenza a causa di “impegni assunti di recente". 

Bene, parto da questo testo, che molto mi colpisce, perché ci sono dei refrain che stanno diventando abusati mantra, che si ripropongono all'attenzione e che francamente cominciano a diventare stucchevoli: 
  1. La Chiesa deve uscire da sé altrimenti
  2. presto o tardi, si ammala nell'atmosfera viziata delle stanze in cui è rinchiusa anche se 
  3. uscendo fuori di casa si può incorrere in un incidente (meglio una chiesa incidentata che ammalata)
  4. la pastorale in chiave missionaria (vedi insegnamento ben diverso e 'sapienziale' di Benedetto XVI, riportato in conclusione) per evitare la malattia che sarebbe tipica della Chiesa:
    1. l'autoreferenzialità
    2. nonché il narcisismo che conduce alla mondanità spirituale e al clericalismo sofisticato che impedisce
  5. la dolce e confortante allegria dell'evangelizzare
  6. andando verso le periferie esistenziali e crescere nella parresia. 
Questo parlare approssimativo, per allusioni tanto vaghe, perché non sviluppate, quanto taglienti nelle possibili ripercussioni, lascia abbastanza sconcertati. Lo stesso vale per le omelie, di per sé condivisibili, ma le cui affermazioni rischiano di diventare soltanto slogan, anche per il fraintendimento o lo sbandieramento pilotato dei media, che estrapolano e non spiegano. Ma quello di spiegare non è il loro ruolo e c'è una comunicazione curiale che se ne dovrebbe occupare o, meglio, le parole del papa dovrebbero essere sbandierate di meno per non cadere nell'infopollution (inquinamento da informazione) inflazionante e banalizzante sia la persona che la sua funzione nonché il messaggio che trasmette; il che non può non generare confusione.

2001: Il Cardinal Ratzinger, l'Europa Unita e il Nuovo Ordine Mondiale

Il discorso di Joseph Ratzinger al seminario Ambrosetti di Cernobbio (2001), ripescato da un sito ratzingeriano. Molto eloquente per individuare punti nodali del suo pensiero, trasposti nel suo Pontificato. Analisi lucida della realtà. Conclusioni improntate allo spirito conciliare. Si parla del nuovo ordine mondiale che, se non basato sulla dignità dell'uomo, diviene un'utopia dell'orrore. Ma fa della dignità dell'uomo un assoluto e nelle "radici" evocate manca la Redenzione operata da Cristo, mentre si basa sulla fedeltà al Dio Creatore. (cfr. alcune chiose essenziali).


Cosa è l'Europa? Cosa può e deve essere nel quadro complessivo della situazione storica, nella quale ci troviamo all'inizio del terzo millennio cristiano? Dopo la seconda guerra mondiale la ricerca di una identità comune e di una meta comune per l'Europa è entrata in una nuova fase.

Dopo le due guerre suicide, che nella prima metà del ventesimo secolo avevano devastato l'Europa e coinvolto il mondo intero, era divenuto chiaro, che tutti gli Stati europei erano perdenti in questo terribile dramma e che si doveva fare qualunque cosa per evitare la sua ulteriore ripetizione. L'Europa era sempre stata in passato un continente di contrasti, sconvolto da molteplici conflitti. Il secolo diciannovesimo aveva poi portato con sé la formazione degli Stati nazionali, i cui interessi contrastanti avevano dato una dimensione nuova alla contrapposizione distruttiva. L'opera di unificazione europea era determinata essenzialmente da due motivazioni.

Di fronte ai nazionalismi che dividevano e di fronte alle ideologie egemoniche, che avevano radicalizzato la contrapposizione nella Seconda guerra mondiale, la comune eredità culturale, morale e religiosa dell'Europa doveva plasmare la coscienza delle sue nazioni e dischiudere come identità comune di tutti i suoi popoli la via della pace, una via comune verso il futuro. Si cercava una identità europea, che non doveva dissolvere o negare le identità nazionali, ma unirle invece a un livello di unità più alto in una unica comunità di popoli.

mercoledì 17 aprile 2013

Aprile alla Cattolica



Vi rammentiamo gli appuntamenti del mese di Aprile presso l'università Cattolica di Milano:


Mercoledì 17 aprile, alle ore 18.00, padre Konrad zu Loewnstein (FSSP) celebrerà una santa Messa presso la Cappella san Francesco.

Giovedì 18 aprile, alle ore 12.00, verrà celebrata una Santa Messa - sempre nella cappella san Francesco - seguita alle ore 16.00 da una conferenza spirituale e dall'Adorazione e Benedizione eucaristica.

Sarà possibile confessarsi o ricevere direzione spirituale o mercoledì prima della Messa o giovedì mattina, possibilmente su appuntamento.

Brunero Gherardini, Rivoluzione e Concilio: 3. La «Nouvelle Théologie»

Pubblico la terza e ultima parte del testo su Rivoluzione e Concilio di Mons. Brunero Gherardini. Qui la Prima parte: Concilio e Sessantotto - Qui la seconda: La Teologia della Liberazione.
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(*) Brunero Gherardini, Il Vaticano II. Alle radici di un equivoco, Lindau, 2012, ( p.261-269) [vedi anche]. Dopo il primo: Vaticano II. Un discorso da fare con Supplica al Santo Padre rimasta senza esito e il secondo: Il discorso mancato [vedi anche], questo testo riprende e sviluppa i temi più controversi e ci consegna un'analisi chiara e sapiente dei prodromi e degli sviluppi della crisi che stiamo vivendo.
3. La «Nouvelle Théologie»

È evidente che quando s'imbraccia un mitra o si discetta sulle forme politiche della prassi rivoluzionaria, s'è ben lungi dalla «lieta notizia» d'una predicazione ecclesiale fedele alle precise indicazioni di Cristo. È inevitabile, allora, che ci si chieda come e perché, nel concetto d'una teologia della liberazione, abbia il suo posto e non di second'ordine anche la «guerra guerreggiata». Questa, infatti, e non il fedele ascolto della predicazione ecclesiale, è vista come l'unica condizione per assicurar il primato del pane sulla Parola. E questa fu la ragione che spinse i teorici del predetto primato a farlo dipendere dall'analisi marxiana: la prassi innanzi tutto, poi il resto: la prassi, intendo della liberazione, a qualunque prezzo, poi la sua giustificazione teologica. E poiché una prassi non è cristiana se non è promossa o guidata o comunque consentita dalla gerarchia della Chiesa, lo stesso CELAM scese in campo a legittimare l'accennata distorsione che alla prassi posponeva il giudizio teologico.

A tali eccessi la Nouvelle Théologie, che dalla Francia in breve tempo era sbarcata su tutti i litorali del mondo cattolico, non sarebbe mai giunta. Eppure, non credo che sia stata del tutto priva d'influssi sul costituirsi d'una coscienza rivoluzionaria in genere e latino-americana in particolare. È vero che i vescovi dell'America Latina, per loro stessa confessione[26], non avevano una chiara consapevolezza dei loro stessi problemi; ma proprio questo favorì il realizzarsi d'una prassi pastorale e della successiva riflessione teologica, che preparò la seconda e ben nota conferenza generale dei vescovi latinoamericani (Medellin, agosto 1968) la quale, approfondendo il suo tema «La Chiesa nell'attuale trasformazione dell'America Latina alla luce del Vaticano Il», emancipò quei vescovi dalla loro abituale dipendenza dall'Europa e conferì alle loro popolazioni una nuova coscienza di sé.